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CUTRO – Non gli è servito brandire un’immagine del Crocifisso dicendo che lui non lo ha mai tradito, rendendo dichiarazioni spontanee in videoconferenza: il presunto boss Alfonso Mannolo alla fine si è beccato la pena più elevata, a 30 anni di reclusione, tra le 20 inflitte dal Tribunale penale di Crotone, per 163 anni di reclusione complessivi, nel processo scaturito dall’inchiesta che portò alle operazioni Malapianta e Infectio, con cui la Dda di Catanzaro ritiene di aver inferto un duro colpo al clan di San Leonardo di Cutro e alle sue proiezioni in Umbria, secondo l’accusa capeggiato dal vecchio capo bastone. Otto le assoluzioni.

In una precedente udienza i pm Antimafia Andrea Buzzelli e Pasquale Mandolfino avevano proposto 26 condanne, per 225 anni di carcere, e due assoluzioni.

Un anno fa, il gup distrettuale di Catanzaro dispose 360 anni di carcere per 43 imputati nel processo col rito abbreviato. Viene, dunque, acclarata l’operatività della cosca Mannolo, che avrebbe imposto il racket ai villaggi turistici della costa jonica; ma vengono riconosciute anche le articolazioni in Umbria in sinergia col clan Commisso di Siderno.

Il collegio presieduto da Massimo Forciniti ha, inoltre, condannato gli imputati a risarcire (la liquidazione sarà stabilita in sede civile) la Regione Calabria assistita dall’Avvocatura regionale, il Comune di Cutro, assistito dall’avvocato Salvatore Rossi, il Comune di Perugia, Banca Unicredit, l’imprenditore Stefano De Gaspari, il gruppo Maresca, Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e l’imprenditore proprietario del villaggio stesso (vessato per anni dalla cosca Mannolo), testimone di giustizia cardine in questa indagine, il lametino Giovanni Notarianni (peraltro vicepresidente regionale di Federalberghi), assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti, che, in particolare, aveva chiesto un risarcimento di otto milioni.

L’inchiesta accorpa le risultanze di due maxi operazioni. In particolare, l’operazione Malapianta, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, che nel maggio 2019 portò a 35 fermi, mise fine al giogo mafioso imposto dalla cosca su un vasto territorio che da San Leonardo si estende alla fascia jonica catanzarese. Gli inquirenti ritengono di aver dimostrato come il clan, pur dipendente dalla cosca Grande Aracri di Cutro, avesse asservito i villaggi turistici del litorale – specie Porto Kaleo e Serené – e potesse vantare ramificazioni operative in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere. Senza dire del dominio incontrastato nel traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e dell’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia.

La mente imprenditoriale era ritenuto Dante Mannolo, figlio del presunto boss e oggi collaboratore di giustizia, e le sue “cantate” sono confluite nelle successive operazioni contro il clan, compresa la più recente “Thomas”, che ha determinato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Cutro. L’operazione Infectio, condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, scattata, invece, nel dicembre 2019, avrebbe fatto luce su un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi clandestine, e un’associazione volta alla commissione reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario. Intrecciando rapporti con il clan Commisso, boss e gregari avrebbero impiantato in Umbria un lucroso traffico di stupefacenti, rifornendosi da albanesi; avrebbero, inoltre, minato, attraverso attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili. Sullo sfondo anche un presunto tentativo di condizionamento del voto a Perugia.

LE DECISIONI

Ecco le decisioni dei giudici (in parentesi le richieste).

  • Paolo Bassetti (54), di Perugia: assolto (3anni);
  • Alberto Benincasa (43), di Perugia: 4 anni e 6 mesi (3 anni e 6 mesi);
  • Giuseppe Benincasa (69), nato a Cerenzia e residente a Perugia: 17 anni e 2 mesi (20 anni);
  • Antonella Bevilacqua (38), di Crotone: 11 anni (11 anni);
  • Domenico Bevilacqua (54), Crotone: assolto (5 anni);
  • Mario Cicerone: 7 anni e 6 mesi (16 anni);
  • Valentina Danieli (30), di Thiene: 2 anni e 6 mesi (8 anni);
  • Antonio De Franco (56), nato a Cirò Marina e domiciliato ad Assisi: 13 anni (16 anni);
  • Ciro Di Macco (66), di Fiuggi: 3 anni e 6 mesi (6 anni);
  • Francesco Falcone (65), di Cutro: 16 anni (18 anni);
  • Salvatore Diano (36), di Perugia: assolto (assoluzione);
  • Roberto Fusari (58), di Perugia: 3 anni e 9 mesi (3 anni e 6 mesi);
  • Piero Giacchetta (60), di Corciano: 3 anni (3 anni);
  • Luigi Giappichini (50), di Perugia: 5 anni (13 anni);
  • Lamberto Lombardi (75), di Perugia: assolto (3 anni e 6 mesi);
  • Luca Trabucco Mancuso (33), di Perugia: 4 anni;
  • Armando Manetta (33), Crotone: 4 anni (3 anni);
  • Nicola Manetta (41), di Crotone: assolto (assoluzione);
  • Alfonso Mannolo (83), di Cutro: 30 anni (30 anni);
  • Remo Mannolo (50), di Cutro: 19 anni (30 anni);
  • Paolo Menicucci (69), di Corciano: 5 anni (7 anni e 8 mesi);
  • Annunziato Profiti (55), di Vibo: 4 anni (6 anni);
  • Pasquale Profiti (58), di Vibo: 8 anni (12 anni);
  • Giovanni Rizzuti (48), di Petronà: assolto (6 anni e 6 mesi);
  • Pietro Russo (40), di Cotronei: 3 anni (4 anni);
  • Alexander Jerzy Sabieraj (55), di Perugia: assolto (3 anni e 6 mesi);
  • Renzo Tiburzi (72), di Foligno: 3 anni (3 anni);
  • Giuseppe Ferraro Vittimberga (48), di Isola: assolto (5 anni).

LE REAZIONI

Dopo le sue denunce hanno parlato anche imprenditori titolari di villaggi turistici a cavallo tra le province di Crotone e Catanzaro. Oggi Giovanni Notarianni è un testimone di giustizia dall’esistenza blindata, ma la soddisfazione è grande per aver fatto da apripista e aver contribuito a scardinare un sistema che imperversava da mezzo secolo. Ecco il suo lungo sfogo a margine della sentenza.

«Sono costretto a vivere sotto scorta per una scelta fatta tre anni fa. Continuo a denunciare e a collaborare con i magistrati della Dda e con le forze dell’ordine. Resto impegnato nella mia attività imprenditoriale così faticosamente strappata ai tentacoli della ‘ndrangheta. Con questa sentenza si raggiunge un traguardo essenziale nel contrasto al fenomeno criminale, poiché, dopo 50 anni di indiscussa egemonia, si cristallizza l’esistenza della locale di ‘ndrangheta Mannolo. Una consorteria forte, spietata e capitalizzata. Le indagini Malapianta, Thomas Infectio e non da ultimo Ionica, condotte mirabilmente dalla Dda di Catanzaro, hanno dimostrato il potenziale imprenditoriale ed economico delle ‘ndrine cutresi. La Dda e le Forze dell’ordine hanno liberato 40 km di costa dove noi imprenditori del Turismo per anni siamo stati vessati da feroci richieste estorsive e gravi danneggiamenti. Attività criminali che hanno penalizzato e inquinato lo sviluppo economico dell’intera fascia Ionica tra Catanzaro e Crotone. Ma oggi la ‘ndrangheta perde. Adesso che ho la possibilità di vivere un presente che, a lungo, in momenti assai bui non avrei mai pensato di poter vivere, ho iniziato a pensare anche al futuro. Il mio e quello della mia famiglia. In questo futuro prossimo vorrei anche mettere la mia dolorosa esperienza a servizio degli altri, come monito come esempio e come arma per chi ancora oggi non ha denunciato. È una spinta a fare un passo ulteriore nella lotta alla ndrangheta, usando questa mia storia di Vittoria come stimolo a comprendere che c’è ancora tanto da fare. La parte più complicata e difficile del sistema estorsivo è come le cosche entrano in punta di piedi nelle aziende attraverso il personale, proponendo fornitori e servizi, controllando dall’interno ogni segmento dell’attività. Per non parlare dei danneggiamenti che sono mirati e strategici e attraverso cui l’economia libera viene distorta. Sono talmente radicati nei territori che conoscono benissimo tutto quello che fa girare il denaro. Voglio ringraziare i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine che ho incontrato nel mio percorso, che onorano la toga e la divisa che indossano. Sono loro il braccio di uno Stato che, quando incarnato dalle persone giuste, è capace di sconfiggere il nemico, anche quello più subdolo, facendo sentire la presenza dello Stato».

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