X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

ROCCABERNARDA (KR) – «Siamo entrati nella ‘ndrangheta perché ci piaceva». Prima ha detto che voleva collaborare con la giustizia, Antonio Santo Bagnato, il presunto boss di Roccabernarda, accusa per la quale è stato condannato anche in Appello a 24 anni di reclusione. Poi ha detto che non è più un collaboratore di giustizia ma si assume la responsabilità soltanto per i fatti contestati a lui, tant’è che il suo difensore è rimasto sempre l’avvocato Sergio Rotundo.

Tant’è che, ancora, il pm Paolo Sirleo, applicato anche in Appello al processo per l’omicidio di Rocco Castiglione e il tentato omicidio del fratello Raffaele, un fatto di sangue risalente al maggio 2014, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, senza prevedere alcuna attenuante per Bagnato, in primo grado condannato all’ergastolo. In particolare, la massima pena nell’aprile 2021 fu inflitta dalla Corte d’Assise di Catanzaro, oltre che a Bagnato, ad Antonio Marrazzo e Antonio Cianflone, venne condannato a 30 anni Michele Marrazzo e a 12 anni il pentito, questo sì reale, Domenico Iaquinta (l’assoluzione fu disposta per il solo Gianluca Lonetto, com’era prevedibile dopo che il collaboratore di giustizia lo “scagionò”).

Ma proprio su quel delitto – e su altro – Bagnato ha fatto rivelazioni, come emerge da un verbale prodotto dall’accusa. Bagnato ha iniziato a “cantare” nel gennaio 2021 dinanzi allo stesso pm Sirleo e al procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, a dimostrazione del peso specifico attribuito dalla Dda alle sue dichiarazioni, almeno in un primo momento. Parliamo, infatti, di un personaggio ritenuto un esponente di spicco della ‘ndrangheta crotonese, peraltro figura chiave nell’inchiesta Basso Profilo essendo ritenuto tra i promotori di un’associazione a delinquere, con aggravante mafiosa, finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un importo di oltre mezzo milione di euro, e riciclaggio. È l’inchiesta in cui fu condannato per voto di scambio l’ex assessore regionale Franco Talarico. In quel verbale, Bagnato ammetteva di essere stato preposto alla guida della ‘ndrina di Roccabernarda dopo l’uccisione di Franco Pulerà. «Fui convocato dai cirotani a Cirò e Giuseppe Farao e Cataldo Marincola mi diedero la carica. Poi ci fu un summit a San Mauro Marchesato con Lino Greco e Pasquale Manfredi di Isola e Tommaso Pulia. In quella circostanza Pulia si tirò fuori ed ebbi la conferma della mia carica».

Il crimine, prima dell’avvento del super boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, lo deteneva, infatti, il “locale” di ‘ndrangheta di Cirò nella provincia crotonese. Grande Aracri è stato peraltro dichiarato inattendibile nel suo principio di collaborazione con la giustizia intrapreso due anni fa. Ma torniamo a quell’interrogatorio, nel corso del quale Bagnato ammise di conoscere i capibastone del Crotonese, di essere a conoscenza di progetti di omicidio come quello di Salvatore Sarcone («che Mico Megna (il boss di Papanice, ndr) voleva uccidere»), il giovane rinvenuto in stato di mummificazione nel 2014 a Crotone dopo che qualcuno gli aveva sparato alla nuca, ma, soprattutto, confermò di aver preso parte al delitto Castiglione. «Le ragioni erano legate a un problema occorso a Tommaso Rosa detto Tommy Tommy che mi chiese di ucciderlo – è detto nel verbale riassuntivo – decidemmo io, Rosa, Antonio Marrazzo, Antonio Cianflone, Domenico Iaquinta. A organizzare il tutto fu il mio cugino Marrazzo… Rosa si era appostato qualche giorno prima studiando i movimenti ma il giorno prima non era presente perché si era recato a Botricello per fare false fatture. Le armi le procurò Iaquinta da un cacciatore di Cotronei, le detenne Lonetto e le prelevò Iaquinta».

Bagnato ha fatto i nomi degli appartenenti alla sua ‘ndrina (ma a suo dire nessuno della sua famiglia era “battezzato”) e ha svelato anche che la cosca prendeva una percentuale per gli appalti. «Era l’architetto del Comune Giovanni Iaquinta che mandava da noi le ditte per pagare la mazzetta». Sembra un nuovo riferimento al funzionario comunale già coinvolto nel processo Trigarium, per il quale in Appello la pena scese a due anni (da cinque) in seguito a un concordato, esclusa l’aggravante mafiosa, per un presunto abuso d’ufficio ruotante attorno a un permesso di costruire concesso al boss. Ma Bagnato parlava anche di una campagna elettorale fatta in favore di un ex sindaco. E confermava quello che Tommaso Rosa e Maria Concetta Di Noia, marito e moglie, imputati del processo Basso profilo che ormai collaborano con la giustizia, hanno già dichiarato.

«Loro organizzarono l’attività di fatture per operazioni inesistenti, Rosa mi chiese il permesso e disse che mi avrebbe dato un regalo». Ma Bagnato parla anche della vicenda dei falsi testamenti, l’impossessamento illecito di numerosi terreni per i quali è stato condannato a 18 anni e 8 mesi in primo grado. «I terreni che mi sono stati sequestrati confermo che furono acquistati a un prezzo basso rispetto al loro valore, non feci mai una minaccia esplicita ma ritengo che le persone avessero paura di me. Le pratiche le curò il geometra Colao (anche lui condannato ma a una pena minore, ndr) che contattò i notai, non so dire se loro sapessero che i testamenti erano falsi». Ma ci sono anche rivelazioni su vicende ancora non approdate a processo, perché Bagnato in quel verbale si attribuisce una serie di fatti di sangue e tira in ballo complici o presunti tali. Come l’uccisione di Giuseppe Nicastri, su mandato del “locale” di Cirò, il suo “primo incarico”, anche se in un primo tempo ha detto di essere n grado di riferire elementi utili sull’omicidio di Vittorio Stefanizzi, quello di Salvatore Pulia e quello tentato di Guirino Iona. Aveva 20 anni quando, racconta, entrò nella ‘ndrangheta e per uccidere veniva pagato con uno o due milioni. Il punto è capire se queste accuse le confermerà in aula.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE