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La corte di Cassazione

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La Cassazione respinge i ricorsi difensivi per inammissibilità 13 condanne definitive: quella «piccola mafia» di Roccabernarda c’era

ROCCABERNARDA – La “piccola mafia” di Roccabernarda c’era. Diventano definitive 13 condanne emesse nel gennaio 2022 dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Corte che a sua volta confermava, in buona sostanza, la sentenza con cui nel giugno 2020 il Tribunale penale di Crotone inflisse pene pesanti a 14 imputati. Si tratta degli imputati del processo scaturito dall’inchiesta che nel luglio 2018 aveva portato all’operazione Trigarium, con cui fu disarticolata la cosca mafiosa operante nel centro del Marchesato.

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La Corte di Cassazione ha, infatti, respinto i ricorsi difensivi ritenendoli inammissibili (soltanto la posizione di un imputato non era stata impugnata). In Appello, rispetto al primo grado, cambiava soltanto la rideterminazione di pena in seguito a un concordato in Appello per Giovanni Iaquinta, funzionario comunale per cui la pena scese da 5 anni a 2 anni e mezzo. L’unico assolto dall’accusa di associazione mafiosa, anche se condannato per i reati fine, resta Emanuele Valenti Carcea. Confermata anche l’esclusione dell’aggravante mafiosa in relazione a un episodio di abusi edilizi per cui erano imputati funzionari comunali e tecnici.

ROCCABERNARDA E LA PICCOLA MAFIA… LE PENE DEFINITIVE

La pena più elevata rimane, dunque, quella inflitta a Antonio Bagnato, vertice del clan: 24 anni di reclusione. Ecco le altre decisioni: Salvatore Aprigliano: 5 anni; Giuseppe Bagnato: 12 anni e 6 mesi; Maurizio Bilotta: 14 anni e 3 mesi; Antonio Cianflone: 16 anni e 8 mesi; Domenico Colao: 1 anno e 6 mesi; Salvatore Fonte: 1 anno e 6 mesi; Domenico Iaquinta: 3 anni e 6 mesi; Giovanni Iaquinta: 5 anni; Antonio Marrazzo: 18 anni; Michele Marrazzo: 12 anni e 6 mesi; Luigi Piro: 2 anni; Emanuele Valenti Carcea: 4 anni e 3 mesi.

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L’impianto accusatorio nel corso dell’istruttoria di primo grado si aggravò per alcuni imputati. Questi, oltre che di danneggiamento, furono accusati di estorsioni. Per le contestazioni suppletive si è proceduto col rito abbreviato. L’accusa ha contestato l’associazione mafiosa in quanto gli imputati (esclusi funzionari e tecnici) avrebbero fatto parte della “provincia” di ‘ndrangheta capeggiata dal boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. In particolare, dell’articolazione territoriale di Roccabernarda originariamente dipendente da quella di Petilia Policasatro.

In particolare, Antonio Bagnato è indicato come il “capo locale” dopo la reggenza della ‘ndrina da parte di Vito Castiglione, avendo preso le decisioni più rilevanti e avendo partecipato a riti di affiliazione e curato i rapporti con le altre cosche.

TREDICI CONDANNE PER OLTRE 130 ANNI DI CARCERE

La “piccola mafia” di Roccabernarda, dunque. Complessivamente le pene inflitte ammontano a 130 anni di carcere. Proprio grazie alla «particolare autorità e criminale caratura di Bagnato», osservavano i giudici crotonesi nella sentenza il cui impianto continua a reggere, la cosca ha esercitato «un generale assoggettamento della popolazione di Roccabernarda». Nonostante lo spettro ridotto dell’influenza delle “piccole mafie”, infatti, è ormai provata la commissione di una pluralità di reati con cui la cosca avrebbe raggiunto un duplice obiettivo. Da un lato «il consolidamento dell’egemonia eliminando senza scrupolo un giovane avversario». Dall’altro «la manifestazione esteriore, mediante un atto di spietata valenza dimostrativa, della pericolosità dell’associazione».

Un monito, insomma, verso coloro che non si piegano. La conseguente omertà è emersa, per i giudici, anche dal comportamento processuale di alcune vittime a fronte dei danneggiamenti subiti nonché dagli atti ritorsivi ai danni di chi mostrava vicinanza alle forze dell’ordine. Oltre al corposo dossier di intercettazioni eseguite dai carabinieri, l’inchiesta si è arricchita grazie al contributo dei pentiti. Fra i quali un “intraneus”, quel Domenico Iaquinta che ha rivelato che all’indomani del delitto Castiglione gli venne attribuita la dote di ‘ndrangheta del “camorrista di sangue”, essendosi reso responsabile dell’omicidio, raccontando la cerimonia del battesimo. Nello stesso frangente, in un capannone, il capobastone avrebbe battezzato Antonio Cianflone, già affiliato, con la dote dello “sgarro”.

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FOLTA ANCHE IN CASSAZIONE LA PATTUGLIA DI AVVOCATI DELLA DIFESA

Folta, anche in Cassazione, la pattuglia difensiva. Composta dagli avvocati Nuccio Barbuto, Francesco Calzone, Giuseppe Carvelli, Luca Cianferoni, Luigi Colacino, Luigi Falcone, Saverio Loiero, Mario Nigro, Marco Rocca, Mario Saporito, Aldo Truncè. Il filone processuale relativo all’omicidio di Rocco Castiglione e a quello tentato del fratello Raffaele si è concluso in primo grado con tre ergastoli, una condanna a 30 anni di carcere, un’altra a 12 anni e una sola assoluzione. In seguito alle risultanze della maxi indagine il Comune di Roccabernarda finì sotto la lente di una commissione d’accesso anche se non sono emersi elementi tali da determinare lo scioglimento dell’ente.

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