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Petilia Policastro

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PETILIA POLICASTRO (KR) – Forse si è rischiata una lotta intestina con spargimenti di sangue all’interno della famiglia di ‘ndrangheta dei Comberiati di Petilia Policastro, da sempre dominante nell’Alto Crotonese.

Perché Salvatore Comberiati (classe ’59, detto “Sabellino”), considerato uno degli esponenti di vertice del clan, voleva eliminare Nicola Comberiati, figlio del boss Vincenzo, da tempo detenuto, per contrastarne la leadership criminale. Almeno stando a quello che rivela il collaboratore di giustizia Domenico Iaquinta, ex esponente della cosca di Roccabernarda: il suo capo, il boss Santo Antonio Bagnato, gli avrebbe raccontato di aver ricevuto questa richiesta da Salvatore Comberiati ma lui si rifiutò per l’«affetto quasi paterno» che provava per la vittima predestinata e per il “rispetto” che nutriva verso il padre, suo alleato.

La cosca di Roccabernarda, infatti, altro non è che un’articolazione di quella di Petilia. Il pentito raccontò peraltro la circostanza a Pietro Comberiati, altro figlio di Vincenzo, durante un incontro nel carcere di Siano a Catanzaro. E la risposta fu che “Sabellino” avrebbe dovuto fare «molta attenzione a sé stesso» una volta che Pietro Comberiati sarebbe stato scarcerato.

C’è anche questo nelle carte dell’inchiesta che nelle settimane scorse ha portato all’arresto di Nicola Comberiati nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catanzaro che avrebbe fatto luce su un tentativo di estorsione ai danni di Marcella Oliveti, imprenditrice della sanità di Cotronei, ordito, secondo l’accusa, da suo fratello Robert che appunto a colui che viene ritenuto il nuovo reggente della cosca petilina, in assenza del padre detenuto, si sarebbe rivolto per mettere a segno i suoi propositi criminosi. In quelle carte ci sono anche le dichiarazioni del pentito di Roccabernarda che racconta l’ascesa di Nicola Comberiati.

Proprio il passaggio relativo al progetto omicida al centro del quale Nicola Comberiati finì viene ritenuto dagli inquirenti di fondamentale importanza per valutare il ruolo che l’indagato avrebbe assunto nella gerarchia della ‘ndrangheta. Bagnato si rifiutò di assassinarlo anche perché Nicola Comberiati era «di casa» dal boss di Roccabernarda, che vedeva di frequente. Bagnato considerava quel giovane «come un figlio» e si era pertanto opposto al piano. Bagnato al collaboratore di giustizia aveva parlato a lungo  dell’“affetto” che provava per Nicola Comberiati, derivato dal rapporto che aveva con suo padre. Iaquinta, in particolare, lo incontrò alla festa del santo protettore di Roccabernarda nel 2018 e allora Nicola Comberiati si sarebbe messo “a disposizione”.

«Chiariva di essere a nostra disposizione su Sofome per qualunque cosa di cui avessimo avuto bisogno. In particolare, ci diceva di avere un’impresa di lavorazione di inerti a Roccabernarda in contrada Niffi e che, se ne avessimo avuto bisogno, ci avrebbe aiutati per la fornitura di materiale e per lavori in quel settore. Ritengo che l’impianto non sia intestato formalmente a Nicola Comberiati, il quale però ci lasciava intendere di esserne il titolare di fatto, avendo investito in prima persona nell’impianto e di fatto gestendolo».

Il pentito descrive Nicola Comberiati come una persona facoltosa, considerato che possedeva una moto di grossa cilindrata e che, essendo figlio di un boss, era da escludere che svolgesse un’attività lavorativa tanto più che non aveva un titolo di studio o particolari abilità professionali, ma asseriva che non gli sarebbe stato difficile trovare un’assunzione fittizia, per esempio nelle cliniche della zona. In effetti, Nicola Comberiati era dipendente degli Oliveti.

Ancora, il pentito ricorda che Nicola Comberiati stava per picchiare un tizio che si era ubriacato e infastidiva le persone nei pressi del bar, in una zona di sua “competenza”. Il territorio era suo e doveva vigilare per mantenere l’ordine. Ora è in carcere.

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