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Il luogo della tragedia

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Chieste cinque condanne per i tre operai morti nel 2018 a causa del crollo del muro in un cantiere del lungomare di Crotone

CROTONE – «Individuare la causa naturalistica del crollo non sposta nulla. Il punto è se la tragedia poteva essere prevista ed evitata». Lo ha detto, prima di chiedere cinque condanne per omicidio colposo plurimo, il pm Andrea Corvino all’inizio della requisitoria sul disastro sul lavoro consumatosi il 5 aprile 2018 a Crotone e costato la vita a tre operai travolti dal crollo di un muro del cantiere mentre erano impegnati nei lavori di ampliamento del lungomare di viale Magna Grecia.

In particolare, il pm ha proposto 6 anni di reclusione per Sergio Dinale, architetto di origini vicentine fondatore e legale rappresentante dello studio veneziano “D:RH architetti e associati” con sedi a Mestre e a Como, firmatario del Psc (Piano di sicurezza e coordinamento), progettista dell’opera nonché direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (Csp) e in esecuzione (Cse); 5 anni e 6 mesi per Gennaro Cosentino, rappresentante legale dell’impresa Crotonscavi Costruzioni generali S.p.a., incaricata dal Comune di eseguire i lavori, appaltatore delle opere, redattore del Pos (Piano operativo di sicurezza), datore di lavoro di fatto e di diritto e direttore tecnico della ditta; 5 anni ciascuno per Massimo Villirillo, dirigente e procuratore della società, a cui erano conferiti specifici poteri in materia di vigilanza e organizzazione del lavoro, e Giuseppe Spina, pure lui di Crotone, capocantiere preposto della ditta; 3 anni e 6 mesi per Giuseppe Germinara, ex dirigente del settore Lavori pubblici del Comune e responsabile del procedimento in fase esecutiva.

Morirono sul colpo Giuseppe Greco, 51 anni, di Isola Capo Rizzuto, e l’appena 35enne di origini rumene Dragos Petru Chiriac, di Crotone, mentre Mario De Meco, 56 anni, pure lui di Isola, spirò 35 giorni dopo in seguito alle gravissime lesioni riportate. La tragedia sul lavoro, anche per le sue dimensioni, scosse l’Italia intera. E il pm ha ripercorso le omissioni che, secondo l’accusa, sono all’origine del dramma. Già, perché «non sposta nulla» se il crollo sia stato causato da fattori come le piogge intense o il passaggio di mezzi pesanti o la rimozione del basamento o le trivellazioni a due metri dal muro e a dieci metri di profondità, una circostanza, quest’ultima, su cui il rappresentante della pubblica accusa ha battuto il taso con particolare vigore.

O dal «combinato disposto» delle possibili concause emerse dall’istruttoria. Quello che rileva, ha sostenuto il pm ripercorrendo l’esito delle consulenze dell’accusa ma anche della difesa oltre che le testimonianze degli imputati, è che la precarietà della struttura era un «dato conoscibile», essendo evidente dai resti di un precedente crollo che il muro non era armato, eppure «in nessun elaborato tecnico viene valutato il rischio» né è stata mai fatta l’analisi dei campioni da cui sarebbe emersa la «pessima composizione».

Nessuna misura è stata pertanto adottata per evitare la tragedia, dunque, perché tre persone non sarebbero morte se il muro fosse stato «puntellato, ingabbiato, demolito». Quel muro «andava messo in sicurezza» perché il suo crollo non è stato determinato da fattori eccezionali o imprevedibili, ha osservato il pm. «Le piogge o il passaggio dei mezzi sono eventi ordinari, non c’è stato un terremoto e non è caduto un fulmine ed era pertanto certo che il muro sarebbe crollato», ha detto ancora il pm smontando alcuni argomenti difensivi.

Agli imputati il pm contesta a vario titolo, ciascuno per le proprie funzioni, gravissime violazioni della delicata normativa sulla sicurezza sul lavoro. “L’evento si verificava perché – è detto nella richiesta di rinvio a giudizio – nell’ambito dell’esecuzione delle opere pubbliche di “Riqualificazione Urbana Litorale Sud – 2. Stralcio – tratto Cimitero-Irto”, “nel corso delle lavorazioni di un nuovo muro di contenimento a valle del preesistente (a circa 2,5 metri), veniva trascurata la situazione di fatto costituita dalla presenza di un basamento in cemento la cui rimozione, e successiva asportazione del terreno sottostante (per circa 70 cm di profondità), senza previa valutazione e senza cautele, comprometteva l’equilibrio statico del muro poi collassato, privo di fondazioni, da cui conseguiva una concreta situazione tale che un’occasionale, minima causa perturbativa, quale la vibrazione indotta da un mezzo di cantiere ovvero la presenza di una zona maggiormente scavata al piede, già scalzata per la rimozione del basamento, ne provocava il rovinoso ribaltamento”.

Dinale, ad esempio, è accusato di “non aver verificato se il basamento avesse funzioni strutturali di fondazione per il muro, se avesse interferenza con il muro adiacente, se fosse funzionale alla stabilità globale dell’opera e di aver omesso di inserire ogni riferimento a tali aspetti nel progetto esecutivo e di valutare alcuna di queste lavorazioni nel Psc”.

Cosentino e Villirillo rispondono, tra l’altro, “di aver creato una situazione di pericolo facendo eseguire lavorazioni di scavo non espressamente previste, sottovalutando il rischio della stabilità delle opere e ignorando il problema dell’interferenza basamento-muro e, conseguentemente, omettendo di provvedere al puntellamento di quest’ultimo onde evitarne il ribaltamento”. Spina, che pure aveva constatato in cantiere la presenza del basamento, è accusato di “non aver indicato in progetto, e di aver comunque eseguito, nei giorni immediatamente precedenti al crollo, in assenza di prescrizioni, la rimozione del basamento in cemento e lo scavo del terreno adiacente contribuendo a generare la situazione di pericolo”. Fattispecie omissive sono contestate anche all’ex dirigente comunale Germinara.

Un processo dal quale, a oltre cinque anni dalla tragedia, i familiari delle tre vittime aspettano giustizia: mogli, figli genitori e fratelli, con i propri cari, hanno perso anche il loro principale sostegno economico. Le posizioni dei familiari delle vittime pendono civilmente davanti al Tribunale di Crotone. Si è costituita parte civile l’Associazione nazionale vittime sul lavoro che, tramite l’avvocato Giuseppe Nicotera, chiede un risarcimento di un milione. Ha escluso la responsabilità civile del Comune l’avvocatessa Maria Vincenza Corigliano.

Iniziate, con l’intervento dell’avvocato Giuseppe Barbuto, le arringhe difensive. Gli imputati sono assistiti anche dagli avvocati Mario Germinara, Enzo Ioppoli, Tiziano Saporito, Francesco Verri.

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