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Ciò che resta dell’imbarcazione esplosa con a bordo i migranti

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CROTONE – «Ero convinto di aver perso il piede perché non lo vedevo più ma ho pensato solo a salvare vite umane. Mi sono gettato in mare per ultimo ma pensavo che non ce l’avrei fatta. Sono stato salvato dai colleghi». È soltanto un passaggio della drammatica testimonianza dell’appuntato scelto Maurizio Giunta, uno dei quattro finanzieri “eroi”, come erano stati ribattezzati dalle cronache i militari della Sezione operativa navale delle Fiamme gialle di Crotone intervenuti per soccorrere una ventina di migranti sul veliero su cui si era appena verificata un’esplosione e che ora si ritrovano imputati per la tragedia al largo di Praialonga.

Omicidio colposo plurimo, l’accusa per la quale il pm Pasquale Festa chiede il rinvio a giudizio. Perché quella drammatica domenica di agosto 2020, la deflagrazione e il conseguente affondamento dell’imbarcazione “Heaven” determinarono la morte di quattro migranti. Nel corso dell’udienza preliminare gli imputati hanno fornito la loro versione della tragica vicenda che finì all’attenzione delle cronache nazionali anche per il gesto eroico dei militari buttatisi in acqua per salvare vite. Sotto accusa ci sono anche i due finiti in ospedale dopo l’emergenza.

Il primo a deporre ieri, davanti alla gup Elvezia Cordasco, è stato l’appuntato Giunta, che fu ricoverato insieme al suo collega finanziere Giovanni Antonio Frisella. Giunta è quello che, con una gamba rotta su una barca in fiamme, si prodigò per buttare quanta più gente possibile in acqua perché tanti avevano paura. In acqua si buttò anche Frisella, che con un piede fratturato afferrò un migrante che non sapeva nuotare. Ma si tuffò anche il maresciallo Andrea Novelli, che, a dispetto del grado, vedendo un collega in difficoltà lo salvò e salvò quante piu vite possibili in quel drammatico frangente. Tutti imputati. Imputato perfino il loro comandante, il capitano Vincenzo Barbangelo, che non era sul posto e, fra l’altro, recependo le direttive della sua gerarchia, ordinò ai suoi uomini di intervenire per scortare l’imbarcazione.

Li difendono gli avvocati Pasquale Carolei, Emiliano D’Alessandro e Filly Pollinzi che intendono sgombrare il campo dalla confusione tra evento di soccorso e di polizia giudiziaria e hanno incalzato i loro assistiti in aula, insieme al pm, tentando di chiarire che fu intervento di polizia giudiziaria che a un certo punto divenne di soccorso per l’imprevedibilità dell’incendio. Almeno questo sostiene la difesa. «Non c’è mai stato alcun serio, immediato e concreto pericolo (presupposto necessario per decretare Sar, ovvero quando c’è pericolo per la vita delle persone) fino al momento dello scoppio e immediato incendio», ha detto ancora Giunta. Di tenore analogo la testimonianza del maresciallo Novelli: «non c’è mai stata la condizione per dichiarare il Sar fino al momento dell’evento tragico.

Viste le fiamme che avvolgevano le imbarcazioni – ha detto – non mi sono preoccupato delle conseguenze lavorative e di tutto il resto. Ho pensato solo – ha detto ancora – come siamo abituati a fare, a salvare vite umane. E da quel giorno ho il cruccio per quelli che non ce l’hanno fatta benché sappia che abbiamo fatto tutto quel che potevamo fare».

Ma perché la tragedia sarebbe stata evitabile, secondo l’accusa? Ai militari si contesta soprattutto l’imperizia nella scelta di condurre l’imbarcazione a Crotone, con l’intenzione quindi di compiere una traversata di almeno 33 miglia e con una navigazione di non meno di 5 ore, con 22 persone a bordo e in condizioni meteo in peggioramento. Perché il più vicino porto di Catanzaro Lido e dista circa 5 miglia dal punto del ritrovamento dell’imbarcazione.

Le obiezioni difensive sono dietro l’angolo. Il porto di Catanzaro Lido? Mai preso in considerazione come rifugio in nessuna operazione di soccorso in mare o di polizia giudiziaria, almeno nel triennio 2018-2020. Perché, tra l’altro, è un approdo poco attrezzato e di problematica praticabilità, come risulta dall’ordinanza 10/2020 dell’Ufficio circondariale marittimo di Soverato, e perché la rotta verso Crotone sarebbe avvenuta col mare a favore e in una zona protetta della costa. Lo ha ricordato il capitano Barbangelo: «conoscevo bene il porto di Catanzaro Lido come porto non idoneo.

Per di più conoscevo l’ordinanza che regimentava l’ingresso nel porto e lo qualificava come porto non idoneo per questioni di sicurezza dei fondali». Secondo l’accusa, la tragedia era evitabile nonostante non sia stato possibile accertare le cause dell’innesco fatale.

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