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Il luogo della tragedia

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CROTONE – Condannato a vent’anni di reclusione e a una multa da 3 milioni: è quanto ha inflitto il gup del Tribunale di Crotone Elisa Marchetto a Gun Ufuk, turco di 38 anni, ritenuto uno scafista che provocarono il naufragio del caicco Summer Love davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro nel quale, il 26 febbraio dello scorso anno, persero la vita 94 persone, tra le quali 35 minorenni (ma si cercano ancora almeno sei dispersi). Sono state accolte quasi in toto le richieste del pm Pasquale Festa, che aveva proposto una condanna a 20 anni e 2,1 milioni di multa per le accuse di naufragio colposo, favoreggiamento all’immigrazione clandestina e morte in conseguenza del favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Stesse imputazioni per le quali altri tre presunti scafisti – Sami Fuat, turco di 50 anni, Khalid Arslan, di 25 anni, e Ishaq Hassnan, di 22 anni entrambi pakistani – sono a giudizio davanti al Tribunale penale in composizione collegiale. Contestualmente, per la strage di Cutro Ufuk, oltre che per il suo ruolo di scafista, è stato condannato al risarcimento del danno da quantificare in sede civile sia nei confronti dei familiari delle vittime che del ministero dell’Interno e della regione Calabria.

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Gli avvocati di parte civile, che rappresentano superstiti e parenti dei migranti morti, hanno chiesto risarcimenti per oltre 5 milioni di euro. Un milione di euro per danno d’immagine è stato chiesto dall’avvocato dello Stato Aldo Mistrulli per conto del ministero dell’Interno. L’udienza è iniziata con l’esame dell’imputato, che, nel ripercorrere la traversata, rispondendo alle domande del suo difensore, l’avvocato Salvatore Falcone, del pm Festa e dell’avvocato di parte civile Francesco Verri, ha ammesso di aver svolto il ruolo di macchinista ma ha anche detto di essersi imbarcato perché non aveva alternativa essendo perseguitato per ragioni politiche dal regime di Erdogan.

«Sono stato il primo a tuffarmi in acqua», ha detto con l’ausilio di un interprete, dopo essersi accorto che la nave era «inclinata». «Ho avuto paura e mi sono gettato, c’era caos, sentivo gente gridare». Ufuk, identificato come scafista nei giorni successivi al naufragio di Cutro grazie alle immediate attività d’indagine condotte dalla Squadra Mobile e dalla Sezione operativa navale della Guardia di finanza di Crotone e arrestato il 7 marzo scorso nei pressi di Graz, è condannato anche perché indicato come il meccanico preposto ad aggiustare il motore della seconda imbarcazione. La prima, “Luxury 2”, era quella scintillante in vetroresina che ad alcuni passeggeri sembrava nuova di zecca ma che ebbe problemi al motore per cui fu necessario il trasbordo su quel legno malandato poi schiantatosi contro una secca.

«Tutti provavano a chiamare soccorsi, facevano numeri d’emergenza ma non ci riuscivano», ha detto l’imputato con riferimento ai dispositivi jammer in uso all’organizzazione che inibivano l’uso dei cellulari. Lui non ha chiamato perché aveva il cellulare scarico, ha detto. Ha negato di conoscere gli organizzatori, ha sostenuto che quello per Steccato era il suo primo viaggio ma, soprattutto, ha raccontato di essere stato in carcere otto mesi perché si opponeva al regime di Erdogan in seguito al fallito golpe militare messo in atto da una parte delle Forze armate turche nel luglio 2016. Il riferimento è al golpe di cui è considerato ispiratore Fethullah Gülen, accusato da Erdogan di essere uno dei principali cospiratori, anche se lo stesso Gülen ha condannato con veemenza il tentativo di colpo di Stato, negando ogni possibile coinvolgimento. Da allora però sono scattati arresti ed epurazioni e a suo dire Ufuk ha subito «abusi e discriminazioni» in carcere. «Io andavo ai comizi. Per questo sono stato arrestato, in Turchia ci sono metodi violenti, dopo 8 mesi di prigionia sono stato sottoposto all’obbligo di presentarmi in caserma per due anni, non avevo scelta, ho preferito affrontare il viaggio in mare pur sapendo che era rischioso», ha detto l’imputato rispondendo, in particolare, a una sollecitazione dell’avvocato Verri.

Ufuk si è anche detto «tanto dispiaciuto per il dolore causato ai parenti delle vittime». Una versione che, sia pure a fronte di parziali ammissioni, non ha convinto il pm. «Uno dei tanti sbarchi sulle nostre coste è finito tragicamente per una manovra azzardata e per le cattive condizioni meteorologiche – sostiene il rappresentato della pubblica accusa – Non è estraneo all’organizzazione – ha detto il pm soffermandosi sul ruolo dell’imputato – e anche se non ha condotto l’imbarcazione, navigare sotto costa senza conoscere il fondale costituisce già di per sé una violazione di basilari norme di sicurezza». Alle richieste del pm si sono associati gli avvocati di parte civile Nicola Colacino, Gianfranco D’Ettoris, Salvatore Rossi, Roberto Stricagnoli, Barbara Ventura, Francesco Verri. L’avvocato Verri, in particolare, ha evidenziato la «funzione essenziale» svolta da Ufuk nelle mansioni di macchinista. Difficile il compito per l’avvocato Falcone, che richiamando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha invocato il «diritto di fuggire» da regimi che applicano pene disumani e trattamenti degradanti e ha lamentato che il suo assistito rischi di diventare “capro espiatorio”. Regge, dunque, l’impianto accusatorio alla prima pronuncia sulla strage di quasi un anno fa.

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