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Il barcone distrutto

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Il drammatico racconto dei sopravvissuti: prima un inferno di fumo, stipati nel caicco, poi tre tonfi e le urla: la strage di migranti di Cutro

CUTRO – Il trasbordo da un’imbarcazione che sembrava nuova, ma era in difficoltà, ad un fatiscente caicco, col paradossale nome di “Summer Love”. Una manovra per cambiare rotta nonostante il mare grosso, perché alcune segnalazioni luminose vengono scambiate per polizia. Il motore che fa fumo e si ferma appena giunti in prossimità della costa. Il timoniere che spinge al massimo la leva dell’acceleratore fino a spezzarla. Poi si sentono tre colpi allo scafo, che comincia a piegarsi e imbarcare acqua. Quindi le urla e i pianti di donne e bambini, gli scafisti che si gettano in mare e tentano di dileguarsi in una pineta, e i disperati che trasportavano si tuffano in mare.

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Soltanto in 80 riusciranno a guadagnare la riva rimanendo vivi. C’è questo e altro nelle carte dell’inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia, dai poliziotti della Squadra Mobile e dai finanzieri della Sezione operativa navale di Crotone, e coordinata dal pm Pasquale Festa, che ha portato al fermo di tre presunti scafisti – ma si presume che ci fossero altri tre membri dell’equipaggio – accusati di naufragio, omicidio colposo plurimo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in relazione alla tragedia materializzatasi all’alba di domenica scorsa a Steccato di Cutro, con 66 vittime accertate (ma i dispersi sono decine).

Agli indagati gli inquirenti sono risalti grazie alle testimonianze di quattro naufraghi. Ma al presunto comandante sono arrivati anche perché i carabinieri, primi a giungere sul luogo del massacro, hanno notato un tentativo di aggressione nei suoi confronti mentre tentava di nascondersi tra i migranti, e l’hanno portato in caserma.

L’INFERNO DEI MIGRANTI AL LARGO DI CUTRO: L’ALLARME

Alle 4,15 arriva la segnalazione alla centrale operativa del 112 e un quarto d’ora dopo i carabinieri sono già sul posto. Nel buio si fanno strada con le torce e notano le sagome dei disperati che chiedono aiuto e che sul volto e sulle braccia presentano vistose ferite. Giunti sulla battigia, notano un corpo senza vita, e a una ventina di metri i resti di quel legno malandato in balìa del mare fortemente agitato. Mentre chiedono rinforzi, si imbattono in altri tre cadaveri, e poi in altri ancora, tra i quali un bambino al quale tentano di praticare un massaggio cardiaco, ma è inutile.

Nell’immediatezza sono 15 le salme che recuperano, restituite dal mare, mentre sulla spiaggia rintracciano una cinquantina di profughi coi vestiti zuppi d’acqua e di gasolio. I carabinieri si buttano in mare per salvare chi invoca aiuto. I pescatori del posto danno loro man forte. Intanto vengono allertate le altre forze dell’ordine, la Capitaneria di porto, il servizio 118 dell’Asp di Crotone.

Un mediatore culturale indica loro un presunto scafista, sulla base delle testimonianze fornite dai profughi. A uno dei presunti scafisti gli investigatori arrivano facilmente anche perché durante i controlli alcuni migranti tentano di aggredirlo, gli altri due si allontanano a piedi in direzione di Botricello. Sono le 5.35 quando, secondo la relazione della Capitaneria, la barca è completamente distrutta. Intanto i cadaveri vengono trascinati a riva dalla risacca.

L’INFERNO DEI MIGRANTI AL LARGO DI CUTRO: LA TRAVERSATA

Grazie alle testimonianze è stata ricostruita anche la fase precedente all’imbarco dei migranti naufragati a Cutro, accolti in una safe house da due facilitatori pakistani e salpati alle prime ore del 22 febbraio scorso da una spiaggia del distretto turco di Cesme. La prima imbarcazione era di colore bianco, in vetroresina, ed era condotta da due scafisti di nazionalità siriana e turca e a bordo aveva 180 migranti. In seguito a problemi al motore veniva raggiunta da un caicco, condotto da tre scafisti turchi.

Avveniva così il trasbordo di tutti i migranti mentre sulla seconda imbarcazione saliva anche il siriano. I quattro skipper davano ordini ai facilitatori pakistani che assumevano il ruolo di membri dell’equipaggio. Il 25 febbraio il natante era già nelle acque antistanti la costa crotonese, le condizioni climatiche erano proibitive ma, nonostante l’insistenza dei migranti che volevano toccare terra o chiedere soccorsi, l’equipaggio posticipava l’approdo per sviare l’attenzione delle forze dell’ordine.

Alle prime ore del 26 febbraio gli scafisti abbandonano l’imbarcazione in difficoltà che di lì a poco sarebbe affondata. Le responsabilità penali sarebbero pertanto individuate a carico di Fuat Sami, 50enne turco, e Hassnan Ishaq e Arslan Khalid, pakistani, rispettivamente di 18 e 25 anni. Li difendono gli avvocati Salvatore Perri e Pasquale Sarpi, e l’udienza di convalida dinanzi al gip Michele Ciociola è fissata per oggi. Si cerca un quarto indagato, un 23enne turco, allo stato irreperibile. Non è tra i superstiti trasferiti al centro d’accoglienza S. Anna e all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone e non si esclude possa essere disperso.

LE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI

Gli scafisti, muniti di telefono satellitare ed apparecchio jammer, davano ordini ai pakistani che facevano salire i profughi dalla stiva soltanto per esigenze fisiologiche o prendere un po’ d’aria. I migranti erano ammassati e stremati, soltanto un po’ d’acqua per i bimbi arrivava ogni tanto nella stiva, ma gli skipper non andavano verso terra, anzi facevano manovre per eludere eventuali controlli alla vista di alcune segnalazioni luminose.

«Le condizioni del mare erano peggiorate, i quattro, pensando che ci fossero poliziotti, hanno cercato di cambiare rotta e modificare il punto di approdo. – ha detto uno dei superstiti – La barca interrompeva nuovamente la navigazione suscitando lamentele tra i migranti… il cambio di rotta repentino e le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quanto improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua e inclinarsi su un fianco».

Drammatiche le condizioni di viaggio, secondo un’altra testimonianza. «Dopo circa due giorni di navigazione anche la seconda imbarcazione ha avuto problemi al motore poiché usciva fumo dalla sala macchina… era in condizioni peggiori della prima poiché in legno, fatiscente e priva di sedili… molti di noi chiedevano di spostarci, le persone erano bagnate di gasolio». Per non parlare delle dotazioni di sicurezza, inesistenti. «Non siamo ci hanno mai equipaggiato di giubbotto galleggiante o qualsivoglia sistema di salvataggio». Eppure uno degli skipper rassicurava quanti avevano paura, sostenendo di avere 15 anni di esperienza di navigazione. Uno di loro mostrava con un tablet la rotta sostenendo che sarebbero arrivati a destinazione in dieci ore.

ALLE 4 RIPRENDE LA NAVIGAZIONE SUBITO DOPO LA STRAGE

Alle 4 riprende la navigazione e i migranti notano luci sulla costa iniziano a gridare “Help”, credendo si trattasse di soccorsi, ma non rispondeva nessuno. Quando la barca si piega, tre dei membri dell’equipaggio lanciano un tender in mare, proprio mentre i migranti chiedono aiuto. Uno dei testimoni narra di essersi aggrappato a un salvagente e di essersi gettato in acqua, a circa 200 metri da riva, poi si è sentito afferrare da un braccio da un poliziotto. Una volta a terra, un suo amico gli dice che gli scafisti sono in fuga in un boschetto.

Hanno versato 8mila euro a testa per la traversata; un superstite afghano, in particolare, racconta di aver lasciato la somma a garanzia in un’agenzia di Kabul. I soldi vanno a un’organizzazione transnazionale turca, ma questa parte dell’inchiesta è destinata ad essere trasmessa per competenza alla Dda di Catanzaro, che indaga da tempo sulla tratta dei migranti lungo la rotta dell’Egeo. Dai turchi prendeva ordini il presunto capitano. Lui era anche a Istanbul quando, secondo le testimonianze, faceva nascondere i migranti su un camion intimando loro di stare zitti. Non dovevano fare rumore neanche mentre erano stipati a bordo del caicco.

L’INFERNO DEI MIGRANTI A CUTRO: DOVEVANO STARE NASCOSTI SENZA FARE RUMORE

Dovevano restare giù per non farsi notare dalle forze dell’ordine, altrimenti gli scafisti avrebbero rischiato l’arresto. Dovevano stare giù e non fare rumore. Fino a quando si sentirà un tonfo proveniente dallo scafo andato a sbattere contro quella maledetta secca. Soltanto un’ora prima dello schianto, uno dei pakistani era sceso in stiva per rassicurare i migranti dicendo che stavano per arrivare e potevano iniziare a preparare i bagagli.

«Ma all’improvviso il motore ha iniziato a fare fumo, c’era tanto fumo e puzza di olio bruciato, ho sentito dire che il turco ha spinto al massimo la leva dell’acceleratore rompendola, il motore è rimasto accelerato e nessuno sapeva come spegnerlo anche perché iniziava a diffondersi il panico, la gente nella stiva iniziava a soffocare e salire in coperta, dopodiché la barca si è spezzata e l’acqua entrava dappertutto». Dappertutto.

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