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Il luogo della tragedia

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CUTRO – La strage di Cutro poteva essere evitata. Anche secondo l’ex agente dei Servizi segreti italiani Marco Mancini che nel libro “Le regole del gioco”, appena pubblicato da Rizzoli, sostiene di essere in grado di smentire la premier Meloni che, relazionando in Senato sul naufragio di migranti del 26 febbraio scorso, sostenne che «non esistono prove che il Governo avrebbe potuto fare di più».

Le prove, invece, Mancini afferma di averle «segnate» sulla pelle perché «sono depositate nella storia recente di questo Paese». Rievocando il tragitto fatto dal caicco salpato da Izmir nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, Mancini, rivolgendosi proprio alla premier, confessa di aver reagito con incredulità alla tragica notizia. Perché l’imbarcazione «aveva attraversato le frontiere marittime di Erdogan, quindi i controlli ellenici, seguendo un tragitto calibrato al millimetro di 523 miglia marine (circa 970 chilometri)» e alla fine era arrivata in acque italiane «per sfasciarsi giusto a cento metri dall’approdo».

Mancini si chiede pertanto: «Possibile che i Servizi italiani non sapessero? Che l’Aise non avesse una fonte nella polizia o tra gli scafisti del secondo porto ottomano per traffici legittimi e primo per quelli di armi e droghe? E che l’Aisi non ne avesse una arruolata nella ‘ndrangheta?». Che c’entra la ‘ndrangheta? «A Cutro – osserva Mancini rivolgendosi alla premier – è sovrana la cosca ‘ndranghetista Grande Aracri cui probabilmente sarebbe toccato trasferire in Germania i migranti».

Insomma, «nessuno ha ordito trappole, salvo la congiura, non meno colpevole, della mancanza di informazioni da parte dei Servizi». Non a caso l’ex 007 rievoca i tempi in cui non funzionava così, quando il Sismi praticava il «controspionaggio offensivo». Mancini compie quindi una digressione sull”’impreparazione” e l’”affanno” del nostro Paese dinanzi all’ondata migratoria; impreparazione e affanno riconducibili all’abolizione del controspionaggio offensivo nel contrasto alle organizzazioni criminali transnazionali.

E parla di «informazioni superficiali» su cui si baserebbe la strategia del Governo che venne a Cutro per annunciare caccia agli scafisti lungo tutto il globo terracqueo. Perché gli scafisti sono «l’ultima ruota del carro infame», come sa qualsiasi direttore o vicedirettore dei Servizi. «Gli scafisti ce li vendono a poco prezzo. Ne incarceriamo trecento? Ne torneranno seicento. Il passaparola è che la peggiore delle carceri italiane è meglio dei lager libici: da noi danno perfino da mangiare, la Caritas offre il dentifricio e c’è addirittura l’ora d’aria».

Mancini auspica «l’impegno strategico, penetrante dell’intelligence» contro organizzazioni transnazionali che si avvalgono di complicità istituzionali dei Paesi coinvolti e sconfessa la politica del blocco dei mari e del respingimento sistematico. E solleva un inquietante interrogativo. «Lo scorso 20 settembre, all’Onu – scrive l’ex 007 – Lei aveva un dossier con i nomi e con le ramificazioni delle organizzazioni criminali nel mondo e con l’indicazione dei porti della Tunisia, della Libia e della Turchia da cui nelle ultime quarantotto ore erano partite le barche che avevano raggiunto le nostre coste».

Insomma, Meloni quelle informazioni le ha mostrate all’Onu e alla Presidente Von der Leyen? Mancini se lo chiede, e si chiede come Meloni che si proclama cattolica abbia il coraggio di dormire sonni tranquilli. La ricetta, per l’ex 007, è «semplice» e si chiama «controspionaggio offensivo».

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