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«PASOLINI non era affatto nemico della nostra gente, come disse allora un quotidiano della Dc. Lo posso provare per testimonianza diretta». Mio padre me lo raccontò che ero un ragazzo. Tra gli scaffali della sua libre-ria arraffai una copia del romanzo “Una vita violenta” con dedica dell’autore. Gli chiesi quando avesse incontrato Ppp. E la storia prese forma. Mio padre era un giovane studente quando, nel ’59, assistette alla cerimonia all’ex cinema Ariston in cui a Pasolini fu consegnato il premio “Città di Crotone”. In quell’occasione, mio padre, di Cutro, e i suoi amici chiesero un chiarimento allo scrittore. In quegli anni, infatti, la polemica sui “Banditi di Cutro” infuriava. Nel novembre ’59 Vincenzo Mancuso, sindaco di Cutro, su incarico del consiglio comunale, aveva querelato Pasolini per diffamazione a mezzo stampa. L’articolo incriminato dalla Giunta Dc-Msi era “La lunga strada di sabbia”, pubblicato dal mensile milanese “Successo” nel settembre del ‘59. Di Cutro Pasolini scrisse: «a un distendersi di dune gialle in una specie di altopiano è il luogo che più m’impressiona di tutto il viaggio. E’ veramente il paese dei banditi come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente che siano fuori dalla legge o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano al loro atroce lavoro c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia». E l’esposto: «la reputazione, l’onore, il decoro, la dignità delle laboriose popolazioni di Cutro, sono stati evidentemente e gravemente calpestati». Una vicenda giudiziaria che finì in una bolla di sapone con la dichiarazione di non luogo a procedere pronunciata nell’aprile ’62 dal Tribunale di Milano. Perché «Pasolini non era affatto nemico della nostra gente»?

A mio padre e ai suoi amici, tutti cutresi, Pasolini consegnò copie omaggio del suo romanzo e tutti loro hanno continuato a seguire con grande simpatia la vicenda umana e artistica terminata tragicamente quel 2 novembre del ’75. Il chiarimento ci fu, dunque, e avvenne nella federazione del Pci di Crotone. A quel gruppo di studenti Pasolini spiegò che il senso del suo scritto era stato frainteso, perché non si poteva valutare obiettivamente il suo pensiero prendendo in esame soltanto alcune frasi e isolandole dal contesto. E perché il termine “Banditi” era da intendersi nel senso di emarginati, cioè banditi dalla società. Un chiarimento ritenuto esaustivo da quei giovani che poi accolsero Pasolini a Cutro insieme al quale fecero una lunga passeggiata. Lunga come la via “Longa”, disseminata di case basse con gli esterni in calce bianca. «Maestro, questa è via Longa». E Pasolini: «Via Longa, ogni metro una porta». Pasolini era un grande amico di Cutro, dove, cinque anni dopo, tornò per girare alcune scene del Vangelo con attori presi dalla strada, tra cui alcuni cutresi. Perché le “dune gialle” evocarono in lui i luoghi della Palestina. Sono ancora gialle, quando non puntano sul nero perché bruciate dagli incendi estivi. Fu lì che Pasolini incontrò due persone che gli dissero che era una zona pericolosa, perché là era stato ammazzato un tizio. I banditi dalla società da quelle parti sono tornati nel maggio 2004, armati di bazooka, speronando con un commando l’auto blindata su cui viaggiava il boss Antonio Dragone, la cui corsa inutile quanto disperata terminò, appunto, tra le dune gialle. Così attuale, Pasolini, che alla maniera dei pittori impressionisti, con due pennellate, raccontò Cutro nel ’59.

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