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Uno dei gruppi di medici cubani giunto in Calabria negli ultimi mesi

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A chi non piacciono i medici cubani? Non piacciono a chi campa bene nell’emergenza, condizione naturale per i cittadini di questa regione


Come un disco rotto, il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza ha tuonato di nuovo contro i medici cubani, mettendo in discussione i loro titoli di studio. Parole forti e ai confini col razzismo, che hanno scatenato la reazione del presidente della Regione Roberto Occhiuto. Succede proprio il giorno in cui si arriva a una conclusione drammatica: non bastano i concorsi per risanare la sanità calabrese, continuano a mancare gli specialisti di Pronto Soccorso, proprio i ruoli che i sanitari caraibici stanno coprendo in molti ospedali, a partire da quello di Reggio Calabria.

A chi non piacciono i medici cubani? Proviamo a indovinare. Ogni corporazione vede con sospetto gli elementi estranei, vale per tutti, anche per i giornalisti. Che ne sanno? Come lo fanno? La diffidenza è comprensibile, il fatto è che l’Ordine protesta dal primo giorno. Veniamo alle strutture private. Dove nascono i bambini del basso Jonio cosentino, dopo che l’ospedale di Cariati è stato chiuso? Intendiamoci, il privato, soprattutto in una zona come la nostra – una delle regioni più povere d’Europa – ha un ruolo di supporto e di ricerca. Il privato ha spesso macchinari all’avanguardia e i migliori professionisti. Ma la Sanità pubblica va difesa, come recita l’articolo 32 della Costituzione. E i soldi non vanno bruciati.

Bene, andiamo avanti. A chi non piacciono? Alle cooperative dei medici a gettone, professionisti che da un giorno all’altro hanno abbandonato il loro posto al Pronto Soccorso in seguito a stress, aggressioni, frustrazione, tagli. La regione X ha bisogno di dieci pediatri? Basta una chiamata! Succede anche nelle grandi strutture sanitarie del Nord, quelle dove i calabresi vanno spesso a curarsi. E qui tocca ricordare quello che Roberto Occhiuto dichiarò in tempi non sospetti, quando i camici bianchi dovevano ancora arrivare dall’Avana. «Le cooperative ci hanno chiesto 150 euro l’ora. Sono decine di migliaia di euro sottratti alle strutture pubbliche. I medici cubani prendono 4700 euro al mese, che vanno tutte in tasca loro, e sono disposti anche a fare gli straordinari».

In definitiva, non piacciono a chi campa bene nell’emergenza, condizione naturale per i cittadini di questa regione. A proposito, perché gli Ordini professionali non fanno una bella indagine negli ospedali? Da Trebisacce a Locri, da Polistena a Cetraro, servirebbe una grande operazione di ascolto. Loro si chiamano Eduardo, Dayli, Luiz. Non sono la categoria indistinta “medici cubani”: sono persone, professionisti, non primitivi. Un’indagine sarebbe utile: per capire le reazioni dei pazienti, dei colleghi, dei direttori sanitari. Oh sì, il problema della lingua: c’è un corso preparatorio all’Unical e poi c’è la pratica in reparto. Non risulta che gli ordini chiedano test obbligatori di inglese o di spagnolo ai loro associati, eppure quanto sarebbe utile.

Stanno talmente a pezzi certe strutture calabresi, che l’intervento di un Edilfredo, di una Alathiel, di una Desi finisce sui giornali. Con la loro risposta spiazzante: quel bambino salvato? Ho fatto solo il mio mestiere. Ma forse il segreto sta in quello che mi disse un amico ricoverato a Polistena: «Mi sono trovato benissimo con loro, e sai perché? Trattano tutti allo stesso modo».

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