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LA lunga agonia è finita. La decisione “sofferta” – ha  detto il ministro Cancellieri, che nei giorni scorsi aveva utilizzato l’aggettivo, “difficile” – è caduta sulla testa di una città e di una regione come una batosta, per quanto prevedibile, di valore epocale. Il ministro ha spiegato che il Consiglio comunale di Reggio è stato sciolto non per infiltrazioni bensì per contiguità con la ‘ndrangheta. La precisazione è rilevante perché la contiguità è ben più grave delle infiltrazioni: la prima è voluta, le seconde possono essere subite. La contiguità è attiguità, prossimità, vicinanza. E’ l’addebito più pesante e devastante che si potesse fare all’assemblea elettiva di quella città. Si sa che in centinaia di pagine – quelle scritte in mesi di lavoro dagli ispettori ministeriali – questa contiguità è stata documentata con fatti, nomi, episodi, intrecci societari. Un prefetto le ha studiate, valutate, soppesate e ne ha tratto le sue conclusioni che ha girato al ministro dell’Interno. Il quale ha preso tutto il tempo neces sario, forse anche di più di quello che solitamente occorre, prima di assumere una decisione, confrontarla con il capo del governo e sottoporla all’approvazione del consiglio dei ministri.

Più volte è stato ripetuto ieri sera che si tratta del primo scioglimento per mafia di un comune capoluogo, si deve aggiungere che Reggio è la più grande città della  Calabria, strategica per tanti motivi, un simbolo per i calabresi ma anche, grazie alla sua collocazione, per tutti gli italiani. Per i quali Reggio è la Calabria. La quale da ieri è più fragile, più debole, più isolata, più abbandonata. Incapace di reagire, di far sentire la propria voce, di far capire che non tutto è ‘ndrangheta e che ci sono – eccome se ci sono! – persone perbene. Può accadere che il più importante quotidiano del mondo, il New York Times, apra (esattamente così!) la sua prima pagina parlando della Salerno-Reggio Calabria e descrivendo la regione come il ricettacolo di corruzione e ‘ndrangheta, una palla al piede dell’Europa. E’ accaduto l’altro ieri, e con il senno di poi è sembrato un rintocco di campane a morto che annunciava la mannaia del Governo. Ma le abbiamo lette le notizie di questi giorni? Pur sapendo che si tratta di cose  diverse e di sentenze non definitive, fa impressione sapere di deputati, ex deputati, presidenti di tribunale condannati, e oggi potete leggere nelle pagine che seguono che l’ex consigliere regionale Santi Zappalà – secondo la testimonianza di un avvocato – sarebbe stato appoggiato anche dai Gallico e non solo dai clan della Locride e della Piana.

Il governatore Scopelliti continua a  parlare di complotto, di nemici, soprattutto giornalisti, e, ieri, di scelta politica del governo. Si vedrà l’esito del probabile ricorso al Tar contro lo scioglimento per un motivo così grave e se davvero la politica ha prevalso sulla tecnica, eppure qual che domanda va fatta. Ma erano nemici di Reggio gli ispettori ministeriali mandati dal governo Berlusconi? E il prefetto di Reggio è un funzionario sul quale sia mai aleggiato anche da lontano il sospetto di parzialità? E quale ombra di faziosità politica si può ritrovare nella lunghissima carriera della Cancellieri al servizio dello Stato? E davvero il governo tecnico, che è sostenuto dal Pdl e il cui presidente Monti il Pdl vorrebbe come capo di una coalizione di moderati, avrebbe deciso di azzoppare l’unico governatore presentabile del Pdl in Italia? Anzi, se vogliamo, la vera decisione politica, difficile e sofferta, che potrebbe essere addebitata alla Cancellieri, sembrerebbe quella di aver caricato tutti i guai di Reggio sulle spalle dell’amministrazione Arena escludendo, come qualche dirigente del Pdl ieri sera ha sottolineato, gli otto anni di gestione Scopelliti.

Ma è comunque evidente che le conseguenze per il governatore sono difficilmente eludibili. E lo sono non solo perché è stato sindaco di Reggio per otto anni, quanto soprattutto per i diciotto mesi di governo della città da parte di Arena. Scopelliti, con la sua azione e la sua difesa ad oltranza di Arena, ha sancito una continuità di fatto tra la sua amministrazione e quella attuale. Piuttosto avrebbe potuto, dall’alto della sua forza e del suo prestigio, consigliare per il meglio gli amministratori che ora sono stati mandati a casa, cercare di separare i nemici veri o presunti dai fatti reali e concentrarsi soprattutto su questi ultimi e non sui primi. Anche perché alla fine a Reggio il quadro si è fatto ancora più torbido e confuso, con contrapposizioni e manovre di ogni tipo. Si è tentata, in forme nuove, anche una rivolta della città – speriamo non si immaginassero ritorni di un passato ormai lontano – per difenderne il buon nome.

Probabilmente l’affermazione più im portante fatta ieri dal ministro Cancellieri, più che il riferimento alla sofferenza, è quella che lo scioglimento «è un atto a fa vore della città perché senza legalità non c’è sviluppo». Un modo per dire che la ferita non si guarisce ignorandola o copren dola, è necessario invece un impegno nuovo che consenta di rinascere nella legalità e senza più contiguità con la ‘n drangheta. La città oggi può sentirsi in un vicolo cieco, assediata da nemici inter ni ed esterni, o piuttosto ad un bivio che impone di scegliere la direzione verso cui andare. Al Comune opereranno per un periodo abbastanza lungo tre commissari al cui vertice è stata chiamata una persona di raro equilibrio e di straordinaria concretezza, l’attuale prefetto di Crotone, Vincenzo Panico, che saprà accompagnare l’istituzione e la città verso la normalità. E’ un grande vulnus per una comunità non essere amministrata dai propri eletti, ma il vulnus più grave è quello che l’ha affossata moralmente e materialmente, ed allora si faccia, senza strumentalizza zioni, luce fino in fondo sul disastro – c’è anche un rischio di dissesto, che può essere scongiurato – e si affermino i valori del  rispetto delle regole e della legalità, isolando chirurgicamente la malapianta e sapendo che la strada è tutta in salita. Senza sconti e senza pannicelli caldi. Reggio Calabria, se mai lo è stata, non è più un modello. Oggi deve guardarsi dentro, impietosamente, in un’operazione verità che è chiamata a fare tutta la Calabria. E’ vero, che fuori dai suoi confini passa solo un messaggio negativo ma sparirà questo pregiudizio se la Calabria non lavora per cancellarlo?

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