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L'ex presidente Gentiloni e il nuovo presidente Conte

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Ora il governo è fatto, sostenuto dai due partiti a cui gli italiani hanno attribuito più consensi (probabilmente in parte sapendo che 5 Stelle e Lega non si sarebbero mai accordati su un programma)

DUE giorni fa eravamo, in sostanza, già in campagna elettorale, dal momento che un eventuale governo guidato dall’ex commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, non avrebbe avuto la fiducia (per come dichiarato pubblicamente dalla maggioranza in Parlamento). Ed era iniziata male, la campagna elettorale, all’insegna di insulti e contro-insulti, come se i bisogni primari degli italiani fossero quelli di ascoltare dagli esponenti politici quelle perle di saggezza infinita – e con gli stessi toni – che circolano sui social, ma anche in televisione, per la verità. La nascita, adesso, del governo sostenuto dalla strana coppia Di Maio-Salvini e guidato da Giuseppe Conte mette fine ad una crisi politico-istituzionale che ha le sue radici, per chi non ha la memoria corta, nella legge elettorale predisposta alla vigilia del voto del 4 marzo scorso, il cui esito non ha consentito ai principali partiti che l’avevano votata (ad eccezione del Movimento 5 Stelle, che, anzi era la “bestia nera” che molti pensavano di poter lasciare fuori dai giochi con quel miscuglio di proporzionale e maggioritario, sul presupposto, peraltro, che i grillini si presentavano e si professavano impermeabili a successive alleanze) di conquistare Palazzo Chigi.

Ora il governo è fatto, sostenuto dai due partiti a cui gli italiani hanno attribuito più consensi (probabilmente in parte sapendo che 5 Stelle e Lega non si sarebbero mai accordati su un programma, ma questo è un aspetto politico che i due leader casomai hanno affrontato o affronteranno con le rispettive basi). Se ne sono dette di tutti i colori, negli ultimi giorni, per il vero agevolate da atteggiamenti e dichiarazioni particolarmente ruvide da parte di Di Maio e Salvini. Si è detto anche che la democrazia è in pericolo; cioè il Paese è in disfacimento, perché la maggioranza degli italiani (gli sporchi meridionali che, secondo i più acuti analisti politici, hanno votato 5 Stelle solo per il reddito di cittadinanza, e gli sporchi settentrionali razzisti… mah) hanno votato e quei voti ai movimenti/partiti di Di Maio e Salvini non li hanno dati da Marte.

Sorge il dubbio se qualora avessero vinto altri partiti si sarebbe lanciata l’allerta per la democrazia. Conte e i suoi ministri, in testa Di Maio e Salvini, tra i quali evidentemente dovrà “muoversi” con abilità, avranno adesso un bel da fare per dare attuazione al “contratto di governo”, in cui oggettivamente sono previste misure che appaiono oggi difficilmente realizzabili perché prima bisogna trovare i quattrini, ma i giudizi si danno su risultati ottenuti o mancati, e il giudizio principale lo daranno gli elettori. In queste ultime settimane Di Maio e Salvini hanno avuto sicuramente occasione di imparare qualcosa.

Di Maio, per esempio, che il termine compromesso non ha una valenza negativa per chi voglia portare avanti le proprie idee senza rinunciare alla loro essenza. Tutti e due che governare comporta responsabilità (di parola e di comportamenti) diverse da quelle che gravano, anzi, gravano poco, su chi parla alle sue folle. E non perché gli italiani (che non sono in massa allocchi facile preda di “populisti”) non siano abituati alla propaganda… Che sia un governo meno social e più concreto. Una sola considerazione sul nuovo presidente del Consiglio, quel professore di diritto civile a nome Giuseppe Conte sul quale – in occasione del primo incarico poi naufragato per il no inflessibile di Mattarella sul nome di Savona indicato al ministero dell’Economia – ne sono state dette tante e molte a sproposito, come se i palazzi di governo negli ultimi decenni siano stati popolati solo da statisti di lungo corso.

Quando accettò il primo incarico Conte suscitò reazioni indignate per aver detto di voler fare l’avvocato difensore degli italiani. Ieri sera non lo ha detto, ma speriamo che lo faccia, perché gli italiani hanno tante cose da cui essere difesi, quanti sono i bisogni e le esigenze, diffusi e in questo senso popolari, che da tempo non hanno trovato risposte adeguate. Sul “populismo” sono stati scritti fior di trattati, anche sulle diseguaglianze… Se il Governo sarà in grado, per esempio, di abbattere (basta cominciare a ferirlo) il mostro della burocrazia e incidere su quell’altro mostro che è il sistema del credito in Italia, allora Conte avrà difeso gli italiani. Se il Governo riuscirà, per esempio, a mettere mano (per quanto possibile in base alle attuali o anche a nuove competenze) al sistema dell’assistenza sanitaria, soprattutto al Sud, allora Conte avrà difeso gli italiani (e soprattutto quelli che vivono nelle regioni del Sud). Il che non vuol dire assecondare sprechi e clientelismi, anzi, esattamente il contrario. E l’elenco è lunghissimo.

Altro che scandalosa l’affermazione di Conte: calza alla perfezione nella situazione in cui il Paese si trova, e se le “offese” da cui difendere gli italiani vengono da apparati interni, italiani, è due volte peggio. Sull’Europa la partita è tutta da giocare. Al di là dello spauracchio dell’uscita dall’area Euro, esistono condizioni da mettere meglio a fuoco, perché se da una parte è innegabile, per esempio, che i fondi (sempre meno) destinati alle aree svantaggiate non sono utilizzati sempre in maniera efficiente, e quindi sono uno spreco e un’opportunità non sfruttata, dall’altra basti ricordare la partita sul fenomeno dei migranti, un peso che non può gravare per la maggior parte sulle aree europee geograficamente avamposto dell’Unione, e quindi soprattutto sull’Italia. Per il resto, meglio abbandonare la metodica dei post, delle chiacchiere, degli insulti. Non portano da nessuna parte, né le maggioranze di governo, né le opposizioni, men che meno gli italiani. 

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