X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

I vescovi calabresi bocciano il progetto di Autonomia differenziata del ministro Calderoli e invitano i cittadini alla «mobilitazione democratica»


Per i vescovi calabresi non c’è dubbio alcuno; l’autonomia differenziata, almeno come disegnata dalla riforma voluta dal ministro Roberto Calderoli, è semplicemente “insostenibile”. Attraverso il documento, il cui titolo è tutto un programma, “La dis-unità nazionale e le preoccupazioni delle Chiese di Calabria: Spunti di riflessione”, pubblicato sul sito della Conferenza episcopale calabra (CEC), i presuli prendono una posizione netta nei confronti di una riforma che non reputano la strada giusta per rilanciare il Paese e il Mezzogiorno.

Del resto già negli scorsi giorni l’arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano, Giovanni Checchinato, parlando alla manifestazione indetta a Cosenza dalla Cgil aveva esternato (citando anche Giorgio Gaber) tutta la contrarietà alla riforma dell’autonomia differenziata. Ora però la voce si fa unitaria, le considerazioni si fanno profonde e circostanziate e, soprattutto, la bocciatura appare senza appello e richiede un’azione concreta.

I VESCOVI CALABRESI BOCCIANO SENZA APPELLO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DI CALDEROLI

Ma questo «non equivale – spiegano i vescovi – alla difesa dello status quo. Essa poggia, al contrario, sulla consapevolezza che sono necessari cambiamenti anche importanti nelle politiche pubbliche e, in particolare, nel sistema italiano di welfare. Cambiamenti che, però, dovrebbero andare in direzione opposta rispetto a questo disegno di regionalismo differenziato».

Per le eccellenze episcopali calabre il problema è all’origine. «Il disegno di legge ha un presupposto che, già in partenza, rivela una criticità di fondo. Le Regioni che oggi chiedono l’autonomia si aspettano che la maggior parte del gettito fiscale sia lasciato nelle stesse Regioni che lo producono. In questo modo, quelle più sviluppate economicamente si ritroverebbero a poter gestire più risorse di quelle che lo Stato attualmente impiega nei rispettivi territori, con riferimento alle stesse materie». Motivo per cui l’economista Giovanni Viesti ha definito «il progetto di autonomia differenziata come la “secessione dei ricchi”».

SI RISCHIA LA «DIS-INTEGRAZIONE DELLE POLITICHE E DEGLI INTERVENTI»

Il rischio è che le Regioni che otterranno l’autonomia «somiglieranno a Regioni Stato, con poteri estesissimi in materie fondamentali. Si innescherebbe una dinamica di dis-integrazione e non di integrazione delle politiche e degli interventi». Inoltre, si dimentica come le risorse derivanti dalle tasse «hanno come criterio, in base alla Costituzione, la progressività del prelievo e l’universalità dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. In altre parole le tasse sono in funzione di obiettivi di giustizia sostanziale e del superamento delle disuguaglianze tra le persone, non dei territori».

Ma se nel merito l’Autonomia differenziata non piace non va meglio se si analizza la riforma sotto un profilo formale. I vescovi evidenziano anche come «il processo decisionale previsto dal decreto mortifica il ruolo delle Camere». In quest’ottica «il rischio che si corre per la tenuta della democrazia nel nostro Paese è evidente se si considera che lo strumento con cui le competenze verrebbero concesse alle Regioni è la intesa fra Stato e singola Regione.
Si tratterebbe in sostanza di una decisione governativa di devoluzione di poteri dal carattere sostanzialmente irreversibile». Ciò «perché, una volta sottoscritta dalle parti, (l’intesa) non può essere cambiata senza il consenso regionale, né il suo contenuto può diventare oggetto di eventuali referendum. Firmata l’intesa, la funzione di definire tutti i dettagli riguardanti il trasferimento di poteri, legislativi e amministrativi, materia per materia, sarebbe esercitata da “commissioni paritetiche” Stato-Regione, fuori dal controllo parlamentare»

PER I VESCOVI CALABRESI L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA «DARÀ FORMA ISTITUZIONALE AGLI EGOISMI DELLA PARTE RICCA DEL PAESE»

Il progetto così concepito «se portato a compimento, darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del Paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese». Una situazione che «potrebbe avere esiti disastrosi sul piano della coesione sociale. Le disuguaglianze nel nostro Paese hanno una natura anche territoriale. Esse – proseguono i vescovi – si determinano principalmente lungo l’asse Nord-Sud, dando luogo al fenomeno del divario civile, per cui il contenuto effettivo dei diritti sociali di cittadinanza cambia a seconda dei luoghi».

Sanità, istruzione, servizi sociali, ambiente, trasporti. I vescovi non dimenticano nessun aspetto del vivere civile nel senso etimologico del termine, ossia vivere da cives, da cittadini, coloro che hanno diritti di cittadinanza. «In uno Stato unitario – chiariscono i presuli – essi vanno assicurati a tutti a prescindere dal luogo di residenza e dal grado di sviluppo produttivo locale. Senza questi diritti si indebolisce il senso di appartenenza a un’unica comunità nazionale. Il progetto di autonomia differenziata rende, perciò, ancora più opache le prospettive del Paese perché proprio negli ambiti da cui dipende la qualità e l’estensione dello sviluppo umano autentico le Regioni vogliono fare da sole, chiedendo più poteri e risorse»

LE CRITICITÀ SUI LEP E SUI COSTI E FABBISOGNI STANDARD

E neppure gli strumenti messi in campo dal progetto Calderoli per evitare l’esplosione delle diseguaglianze, ossia i lep (livelli essenziali di prestazione) e i costi e fabbisogni standard, convincono i vescovi. «Ci sono almeno 4 motivi per ritenere che la soluzione prospettata per eliminare le disuguaglianze territoriali non sia sufficiente. Nell’ambito della tutela della salute, ad esempio, la regionalizzazione del sistema sanitario e la definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) non solo non hanno ridotto i divari di tutela della salute tra i territori, ma li hanno addirittura amplificati, come dimostrano i dati sulla migrazione sanitaria».

A ciò si aggiungono i riferimenti a costi e fabbisogni standard. La diversità dei territori «esige l’adozione di modelli di intervento capaci di valorizzare le risorse e aderire ai bisogni delle persone che vivono nei luoghi, in tutti i luoghi, territori urbani e non, città e piccoli paesi». A ciò si aggiunge che trattandosi di riforma a costo zero, perché non sono previsti maggiori oneri a carico dello Stato rispetto agli attuali, «resta irrisolta la questione del reperimento delle risorse necessarie per garantire i Lep». Che quindi rischiano di restare, aggiungiamo noi, ancora solo una enfatica enunciazione stampata sulla carta.

Infine, e questa è la quarta obiezione dei vescovi calabresi, «se anche si recuperassero le risorse per attuare i Lep, tutto ciò non rappresenterebbe il volano di un vero cambiamento. La vera questione è quella di dotare i territori delle infrastrutture sociali necessarie per programmare, progettare, gestire, rendicontare e valutare gli interventi ordinari. La questione dei livelli essenziali di gestione è prioritaria rispetto a quella della determinazione dei livelli essenziali di prestazione».

AUTONOMIA DIFFERENZIA, I VESCOVI CALABRESI: «NON PUÒ ESSERE CONDIVISA»

In conclusione, dunque, la posizione dei pastori cristiani della comunità calabrese appare chiara e inequivocabile: l’autonomia differenziata così concepita sarà devastante e «come Vescovi Calabresi affermiamo che questa prospettiva non può essere condivisa. La strada da percorrere – sostengono – è invece quella che passa dal riconoscimento delle differenze e dalla valorizzazione di ogni realtà particolare, soprattutto delle aree più periferiche e/o interne».

«I contesti che non ce la fanno vanno accompagnati, riconoscendo nella solidarietà tra territori un valore costituzionale da difendere e un impegno pastorale che il popolo di Dio che è in Italia va incoraggiato a perseguire perché progredisca nella sua ricerca di fedeltà al Vangelo. Nella prospettiva di uno sviluppo umano autentico, le difficoltà dei territori con infrastrutture più deboli, con rendimento istituzionale insufficiente, non vanno interpretate come un freno per chi è più veloce, ma come un problema comune, da cui venire fuori insieme». Per la Cec «non possiamo restare indifferenti. Bisogna trovare vie perché si maturi la consapevolezza che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli».

L’APPELLO ALLA MOBILITAZIONE DEMOCRATICA DELLE COMUNITÀ

E a questo punto i vescovi da analitici e riflessivi diventano operativi e concreti e propongono «che in tutte le comunità diocesane e in tutti i territori si organizzino occasioni di approfondimento e di pubblica discussione e si promuovano adeguate forme di mobilitazione democratica, legando solidarietà e giustizia». Insomma, il messaggio è chiaro: l’Autonomia differenziata non va bene e il popolo cristiano deve mobilitarsi per far sì che sia chiara la decisione di non voler accettare supinamente una riforma che, se attuata, porterà un «gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese».

(Scarica il documento integrale)

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE