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COSENZA – Screening assenti, vaccinazioni sotto soglia per morbillo, parotite e rosolia, ambulanze che arrivano con in media dopo trenta minuti dalla chiamata, percentuali altissime di tagli cesarei al primo parto, scarsa efficacia delle cure psichiatriche, difficoltà di accesso negli hospice per i pazienti oncologici, bassa percentuale di pazienti con frattura del collo del femore operati entro due giorni.

Sono alcuni degli indicatori del nuovo sistema Lea, sperimentato già nel 2020, che hanno nuovamente messo la Calabria all’ultimo posto per qualità dell’assistenza sanitaria in tutta Italia. Tre le aree: prevenzione, distrettuale e ospedaliera, tutte al di sotto del punteggio minimo di 60, seppur leggermente in risalita rispetto al 2020.

Ma se i dati consolidati non sorridono, non lo sono neanche le previsioni per il prossimo anno. Le cose sono state già anticipate nell’ultima riunione del tavolo Adduce. I dati, a partire dagli screening oncologici, stanno nuovamente peggiorando. In altre parole le aziende sanitarie non chiamano a raccolta la platea di cittadini che ha diritto a questi test di prevenzione. In altre parole la Calabria tra il 2020 e il 2022, a cavallo tra la gestione Covid e quella targata Occhiuto-Profiti, nonostante le risorse a disposizione ha scelto di non spendere. Tradotto significa che i conti migliorano in un contesto di quasi totale mancanza di assistenza. A partire proprio dai suoi livelli essenziali, vale a dire quell’insieme di indicatori che raccontano in che modo una regione è capace di prendersi cura della popolazione. Ed è l’intero percorso ad essere sostanzialmente fuori fase. Non si effettuano i controlli potenziali sui cittadini sani, né si garantisce un tempo di risposta efficiente quando si tratta di soccorso.

Questo dato è forse il più eclatante in questa marea di segnalazioni da cartellino rosso. Il sistema di emergenza calabrese, da due anni chiamato alla riforma, continua a produrre distorsioni anche nel 2022 e non solo nel 2021 preso in esame nella griglia Lea. Lo ha certificato ultimamente proprio la Corte dei conti prendendo in esame il sistema sanitario calabrese. I punteggi sono questi. 52,96 per l’area della prevenzione (che racchiude in sé vaccini, screening, analisi degli stili di vita), 48,51, ampiamente sotto soglia, l’area distrettuale (che racchiude soccorsi, efficacia delle cure psichiatriche, pazienti assistiti dalla rete cure palliative, assistenza domiciliare). Qui la situazione è sostanzialmente quasi da deserto sanitario. Pochissimi i pazienti terminali che riescono ad accedere alle cure palliative, ancora meno quelli che ricevono assistenza domiciliare. In altre parole una grossa fetta di popolazione ammalata è abbandonata a se stessa, nelle proprie case.

E infine c’è l’area ospedaliera, gli indicatori spia sono la proporzione di colecistectomie laparoscopiche con degenza post-operatoria inferiore a 3 giorni, il numero di parti cesarei alla prima gravidanza nei punti nascita inferiori o superiori a mille parti l’anno e la Percentuale di pazienti (età 65+) con diagnosi di frattura del collo del femore operati entro 2 giorni in regime ordinario. Tutti indicatori, assieme agli altri, che raccontano di un sistema sanitario ad elevata inapproprietezza delle cure.

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