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IL procuratore aggiunto Alessandra Dolci

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‘Ndrangheta in Lombardia, 14 arresti in 6 province, colpita una organizzazione con presunti legami con il clan Piromalli di Gioia Tauro


MILANO – La ‘ndrangheta è una organizzazione criminale che si muova e replica se stessa in altri territori. Di questa propagazione replicativa della ‘ndrangheta la Direzione nazionale antimafia ha dato conto praticamente in ognuna della relazioni semestrali al Parlamento ma per capire il grado di pervasività della ‘ndrangheta è necessario affidarsi alle indagini.

Da ultimo, a confermare il trend espansivo che fa della ‘ndrangheta la più potente delle organizzazioni mafiose attive sul territorio, arriva il recente blitz messo a segno dalla Guardia di Finanza che ha portato a 14 arresti in Lombardia, in particolare nelle province di Milano, Monza-Brianza, Varese, Pavia, Modena e Mantova. A coordinare le indagini, cui hanno contribuito anche la polizia locale di Milano e i carabinieri del nucleo forestale, la procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e la sostituta Silvia Bonardi. Uno spettro di accuse particolarmente ampio che va dalle estorsioni all’intestazione fittizia di beni, al traffico illecito di rifiuti e alle truffe alle agenzie di lavoro interinale. Il gip di Milano Sonia Mancini ha tracciato nella sua ordinanza un quadro completo di una vera e propria organizzazione criminale di tipo ‘ndranghetista al cui vertice, secondo l’accusa, ci sarebbe Salvatore Giacobbe «senza timore di smentita, capo indiscusso e promotore».

‘NDRANGHETA, 14 ARRESTI IN LOMBARDIA, GLI INTERESSI DELL’ORGANIZZAZIONE

Nelle carte dell’inchiesta è tracciata una organizzazione “supervisionata” da Giacobbe con uno stretto legame, sempre secondo l’accusa, con la cosca dei Piromalli, in particolare con Girolamo detto Momo. Per l’accusa Giacobbe sarebbe un uomo che «all’indomani stesso della sua scarcerazione nell’ottobre 2019» avrebbe esteso la sua attività “delinquenziale”, compiendo un “salto di qualità” rispetto ai traffici illeciti precedenti e che contando sulla sua «già acquisita fama criminale, sulla disponibilità di uomini ancora fedelissimi, sull’evidente disponibilità di investire capitali», è entrato in settori più redditizi quali il traffico di rifiuti e l’interposizione fittizia in attività commerciali.

Altri settori che gli avrebbero consentito, sempre secondo la tesi dell’accusa, «di muoversi su un territorio meno circoscritto e angusto rispetto a quello in cui risultava prima ristretto in base al regime di spartizione del territorio tra boss che stava alla base del sistema delle locali». Quindi, saremmo davanti ad una sorta di evoluzione in cui la ‘ndrangheta non si lega più alle tradizionali strutture basate sui locali e quindi per competenze territoriali ma agisce, piuttosto, «per competenze funzionali». Oltre ai classici reati connessi all’attività della ‘ndrangheta dalle indagini è emerso un «efficiente meccanismo attuato dal gruppo criminale, mediante la stipula di contratti di somministrazione fittizi in assenza di effettive esigenze di impiego di forza-lavoro, per truffare numerose agenzie di lavoro interinale con la complicità dei lavoratori somministrati che, sistematicamente, retrocedevano gli stipendi ai sodali del suddetto gruppo criminale».

LA CAPACITÀ DI RAPPORTARSI CON LE ALTRE STRUTTURE CRIMINALI

Per l’indagine della Finanza il gruppo guidato dai Giacobbe, il padre Salvatore e i figli Vincenzo e Angelino, avrebbe la capacità di «interloquire con i Casalesi quando opera nel settore dei rifiuti, con i Piromalli quando si occupa di acquisizioni di esercizi commerciali, con i Mancuso quando deve risolvere questioni legate alle mere estorsioni». Rispetto alla ‘ndrangheta, l’indagine ha portato alla luce una «costante ed asfissiante presenza della stessa in vari settori economici, che il gruppo Giacobbe – scrive il Gip – ha permeato giovandosi di imprese a ciò strumentali, portando avanti, peraltro, un piano chiaramente espansionistico perché volto a prendere il controllo di una serie di attività economiche particolarmente redditizie operanti nel tessuto della ristorazione milanese e del traffico illecito di rifiuti».

L’inchiesta ha portato alla luce anche una infiltrazione nel settore dei locali di intrattenimento, presenti nelle più rinomate aree della movida milanese, attraverso un proprio “referente”, che, secondo l’accusa, si occupava dell’acquisizione e della gestione di numerosi locali, attribuendone fittiziamente la titolarità a prestanome privi di adeguata esperienza imprenditoriale. Nel corso dell’operazione gli inquirenti hanno sequestrato, con un decreto preventivo emesso d’urgenza dal pm, quattro esercizi commerciali di somministrazione di cibi e bevande, in quanto ritenuti di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati dall’amministratore di fatto e dai compiacenti prestanome, in parte operanti all’interno del “Mercato Comunale Isola”, struttura di proprietà del Comune di Milano.

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