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Il giudice Antonino Scopelliti

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REGGIO CALABRIA – Sarebbe stato un patto tra mafia e ‘ndrangheta. Un accordo sancito con il sangue del giudice Antonino Scopelliti. Ventotto anni dopo l’omicidio del giudice calabrese Antonino Scopelliti, si apre uno squarcio nel muro di silenzio e omertà.

La Procura distrettuale di Reggio Calabria ha indagato 17 tra boss e affiliati a cosche mafiose e di ‘ndrangheta in relazione all’omicidio del sostituto procuratore generale della Corte di cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991 in località “Piale” di Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro.

L’omicidio, dunque, sarebbe maturato nell’ambito di un’alleanza mafia-‘ndrangheta, così come evidenzia l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria nella quale sono indagati boss siciliani e calabresi. Di questo avrebbe parlato il pentito catanese Maurizio Avola. Anche un altro collaboratore, Francesco Onorato, nel processo “‘ndrangheta stragista” ha sostenuto che Scopelliti fu ucciso dalle ‘ndrine per fare un favore a Totò Riina che temeva l’esito del giudizio della Cassazione sul maxiprocesso a Cosa nostra.

I nomi degli indagati

Nella nuova inchiesta sull’omicidio del magistrato di Cassazione, coordinata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, sono indagati alcuni esponenti di vertice della ‘ndrangheta, oltre a quelli di spicco della mafia siciliana. Oltre a Matteo Messina Denaro, sono coinvolti altri sei siciliani, i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola.

Dieci gli indagati calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti. Nuovo impulso alle indagini, è venuto dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia catanese, Maurizio Avola, che ha anche fatto ritrovare, nell’agosto scorso, il fucile che sarebbe stato utilizzato per uccidere Scopelliti. Arma che era nascosta nel catanese.

Il summit mafioso per l’accordo

L’omicidio del magistrato è stato deciso in un summit mafioso svoltosi nella primavera del 1991 a Trapani cui partecipò Matteo Messina Denaro. Lo avrebbe detto il pentito catanese Maurizio Avola al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo che coordina la nuova inchiesta sul delitto.

Sarebbe stato preso in quell’occasione l’accordo tra Cosa nostra e ‘ndrangheta per l’uccisione del magistrato di Cassazione che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxiprocesso alla mafia. Pochi mesi dopo, il 9 agosto 1991 in località “Piale” di Villa San Giovanni mentre Scopelliti faceva rientro a Campo Calabro dove era nato e dove trascorreva le vacanze, un commando composto da siciliani e calabresi entrò in azione uccidendolo.

La perizia sul fucile

Gli indagati per l’omicidio Scopelliti, ad eccezione, ovviamente, del latitante Matteo Messina Denaro, hanno ricevuto un avviso di garanzia finalizzato all’affidamento di una perizia tecnica sul fucile ritrovato nell’estate scorsa nel catanese e che sarebbe, secondo un pentito, una delle armi usate per l’omicidio del magistrato.

L’affidamento peritale dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. I tecnici dovranno analizzare il fucile calibro 12, 50 cartucce Fiocchi, un borsone blu e due buste, una blu con la scritta “Mukuku casual wear” ed una grigia con scritto “Boutique Loris via R. Imbriani 137 – Catania” alla ricerca di tracce genetiche, balistiche e impronte che potrebbero trovarsi sui reperti e che potrebbero risultare decisive per le indagini. Essendo accertamenti irripetibili, è necessaria la presenza di tecnici nominati dagli indagati.

Da qui la necessità di dare comunicazione agli indagati per permettere loro di nominare propri consulenti.

Sicari provenienti dalla Sicilia

Rispetto a questa nuova indagine, il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri ha evidenziato. «Con questa indagine riacquista vigore la pista mafiosa già emersa con i processi celebrati nel ’94 e ’98. All’epoca, però, si parlava solamente di mandanti e non di esecutori. Si diceva che c’era un patto tra ‘ndrangheta e Cosa nostra, però – ha detto all’Ansa – si pensava all’ideazione, alla progettazione e al mandato omicidiario dalla Sicilia agli ‘ndranghetisti calabresi. Oggi, la nuova proiezione investigativa fa ritenere che anche gli esecutori, pur godendo di appoggi della ‘ndrangheta locale, siano venuti dalla Sicilia, che anche nella fase esecutiva Cosa nostra abbia svolto un ruolo fondamentale».

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