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Il procuratore Giovanni Bombardieri

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ROSARNO (REGGIO CALABRIA) – Operazione interforze di polizia di Stato, carabinieri e guardia di finanza di Reggio Calabria, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, contro la cosca Pesce di Rosarno con 53 ordinanze di custodia cautelare.

Nello specifico, l’indagine è stata portata avanti da squadra mobile, Sco, Ros e Scico che hanno eseguito 44 misure cautelari in carcere e 9 agli arresti domiciliari, nei confronti di altrettante persone indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa, detenzione, porto illegale e ricettazione di armi, estorsioni, consumate e tentate, favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa, nonché per traffico e cessione di sostanze stupefacenti (prevalentemente marijuana e hashish).

L’inchiesta ha portato anche al sequestro di una cooperativa agricola, con annessi capannoni industriali e terreni e un’impresa individuale, che si occupa di attività agricola, con relativi terreni, per un valore di stimato di oltre 8,5 milioni di euro. Sono state effettuate anche numerose perquisizioni.

L’operazione di polizia scaturisce dalla convergenza investigativa di due attività di indagine – quella condotta dalla squadra mobile “Handover” e quella svolta dal Ros e dal Gico di Reggio Calabria denominata “Pecunia olet” – nei confronti della cosca Pesce, articolazione della ‘ndrangheta ramificata sul territorio di Rosarno e in altri comuni della piana di Gioia Tauro, con interessi estesi in ambito nazionale e all’estero.

Il commercialista e le forze dell’ordine

Figura principale della parte dell’indagine “Handover – Pecunia Olet” eseguita da Carabinieri e Guardia di Finanza è Tiberio Sorrenti, commercialista di Rosarno, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa. 

«A suo carico – hanno spiegato gli inquirenti durante la conferenza stampa – è stato ricostruito un ruolo di collante tra imprenditori e cosca, addirittura di “modulazione” come diceva lui stesso, delle richieste estorsive delle cosche».

Nell’inchiesta risultano coinvolti anche appartenenti alle forze dell’ordine per attività di favoreggiamento. Lo ha reso noto il questore di Reggio Calabria, Bruno Megale, durante la conferenza stampa: «A dimostrazione – ha affermato – che l’attività della Polizia di Stato riguarda anche le proprie strutture, nella nostra attività non guardiamo veramente in faccia a nessuno».

Infiltrazioni nella grande distribuzione

Nel provvedimento è emersa anche l’infiltrazione della cosca Pesce nel tessuto economico rosarnese relativo alla Grande Distribuzione Organizzata, con particolare riferimento alla gestione dei trasporti su gomma per il rifornimento di generi alimentari.

L’indagine ha consentito di documentare l’esistenza di strette relazioni criminali tra la cosca Pesce ed un gruppo imprenditoriale siciliano attivo nella gestione di supermercati e con mire espansionistiche anche in Calabria dove, per ottenere vantaggi economici, non ha esitato a stringere accordi collusivi con la ‘ndrangheta, traendo così vantaggio dal potere mafioso esercitato dalle cosche sul territorio.

L’accordo prevedeva che i Pesce avrebbero gestito in maniera monopolistica lo stoccaggio e l’intero settore dei trasporti su gomma delle merci destinate a rifornire i punti vendita al dettaglio del gruppo.

L’imprenditore colluso, conscio della mafiosità dei suoi interlocutori, ha cercato di mettersi al riparo da possibili indagini nei suoi confronti creando una sorta di schermo, stipulando formalmente accordi commerciali diretti con una sola azienda di autotrasporti “pulita” riferibile a soggetti incensurati, la quale, a sua volta, affidava i trasporti ad ulteriori imprese di gradimento del sodalizio, assicurandosi in tal modo, attraverso una gestione monopolistica del settore dei trasporti, un incremento del potere economico e del prestigio criminale sul territorio.

L’apice dell’escalation imprenditoriale della holding siciliana, iniziata nel 2009, è stato raggiunto nel 2014, quando il gruppo era presente sul territorio calabrese con un centro di distribuzione e smistamento delle merci a Rosarno; tre punti vendita a gestione diretta (uno a Rosarno e due a Reggio Calabria); quattro punti vendita a gestione indiretta, concessi in affitto (due a Reggio Calabria, uno a Catanzaro ed uno a Cosenza); sei punti vendita legati da rapporti di affiliazione/somministrazione (uno a Gioiosa Jonica, due a Melito Porto Salvo, tre a Reggio Calabria).

Estorsioni con Bellocco e Piromalli

La cosca Pesce operava, nel rispetto delle dinamiche criminali che governano il territorio, congiuntamente con i Bellocco e con i Piromalli, per riscuotere ingenti somme di denaro destinate al finanziamento di attività illecite, al sovvenzionamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie, nonché alle esigenze del latitante Antonino Pesce, nato nel 1992 e già arrestato nel 2018.

Le indagini hanno permesso di individuare l’esistenza di uno stabile sistema criminale di imposizione a tappeto, da parte della cosca Pesce e delle altre consorterie operanti sul territorio, di estorsioni, anche per diverse migliaia di euro nei confronti di privati cittadini, imprenditori, commercianti ed operatori economici in genere.

Nello specifico, negli anni compresi tra il 2015 e il 2019, sono state consumate dalle tre famiglie di ‘ndrangheta numerose estorsioni.

I lavori pubblici e il porto di Gioia Tauro

La cosca Pesce, secondo gli inquirenti, ha inizialmente puntato le sue mire anche ai lavori relativi alla manutenzione del verde del comune di San Ferdinando salvo poi rivolgere le attenzioni verso i lavori effettuati nell’area portuale tra Gioia Tauro e San Ferdinando, riguardanti la costruzione di un capannone industriale, affidata dall’Autorità Portuale di Gioia Tauro ad una società di costruzioni di altra provincia calabrese e la realizzazione, tra il Porto e la prima Zona Industriale, di un terminal intermodale, assegnata dall’Autorità Portuale ad una società lombarda e da quest’ultima ad un’associazione temporanea d’imprese costituita da due ditte, una lombarda e una di altra provincia calabrese.

Lavori che venivano in parte poi espletati, in regime di sub appalto, da altre ditte, alcune delle quali sostanzialmente imposte dalle cosche Pesce e Piromalli che le costringevano a pagare il pizzo, riaffermando, in tal modo, l’influenza criminale sull’importante struttura portuale di quel territorio.

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