X
<
>

Antonino e Noemi

Condividi:
13 minuti per la lettura

Noemi come Antonino. Piazza Nazionale a Napoli come Piazza Porto Salvo a Melito. Due bambini feriti, travolti dalla violenza mafiosa, due sopravvissuti, gli unici in Italia, che ieri mattina erano uno accanto all’altro per testimoniare la voglia di riscatto di intere comunità duramente colpite dalla Camorra e dalla ‘ndrangheta.

Due artisti, Giulia Salamone Noeyes e Vittorio Valiante, in quello stesso luogo dove il 3 maggio del 2019, nel corso di una sparatoria, fu colpita per errore la piccola Noemi Staiano, di appena 4 anni, hanno dipinto i suoi grandi occhi verdi, occhi che parlano di speranza in una città dove ancora si fa fatica a vedere la luce.

E ieri ad inaugurare l’opera, coordinata da Inward, l’Osservatorio nazionale sulla creatività urbana, oltre alla piccola Noemi e ad Antonino Laganà accompagnati dalle loro famiglie, c’era il presidente della commissione nazionale antimafia Nicola Morra, il vescovo di Napoli don Mimmo Battaglia, il prefetto Marco Valentini, l’assessore Alessandra Clemente e don Tonino Palmese, presidente della fondazione Polis.

Anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha inviato un messaggio: «Gli occhi della piccola Noemi, dipinti al centro della piazza, restituiranno un volto di fiducia e di speranza a quei luoghi, segnati dalla memoria di un evento drammatico, ricordando in modo fortemente evocativo il diritto tutti i bambini di vivere serenamente in una città senza mafie».

Ieri, per la prima volta, Tania Esposito, la mamma della piccola Noemi, è ritornata in quella piazza dove sua figlia è stata ferita.

«È stata dura ritornare in quel luogo dove è stata ferita mia figlia – spiega Tania – perché abbiamo rivissuto i momenti drammatici che siamo stati costretti a vivere, non è stato per niente semplice, ma come ho già detto ieri mattina, questa iniziativa ha rappresentato un momento di riscatto per la mia famiglia perché nonostante Noemi porti ancora i segni di quella sparatoria, così come Antonino, stare in quella piazza con lei, mano nella mano, ci ha dato maggiore forza e coraggio per andare avanti. Io finora per affrontare tutto quello che è accaduto dopo il giorno del ferimento, la forza l’ho sempre trovata in mia figlia perché quando la guardo, capisco che nessuno di noi può avere un momento di cedimento. E poi nonostante le difficoltà Noemi è una bambina gioiosa, sorride sempre e tutti, compresa la sorellina Greta che ha 3 anni, cerchiamo di andare avanti e di sostenerla in ogni modo. La speranza, comunque, io non l’ho mai persa. Anche ieri mattina, murales a parte, abbiamo cercato di lanciare un segnale di speranza alla nostra città che ormai è diventata invivibile, si ha paura di andare a prendere un gelato o di portare le proprie figlie a giocare sulle giostrine perché all’improvviso ti ritrovi con un proiettile nei polmoni, com’è accaduto a Noemi, e ritorni a casa senza avere più una figlia. Tutto questo è inaccettabile e la nostra presenza ieri in quella piazza, al di là del murale dedicato a Noemi, voleva essere un messaggio alla città che ieri, a differenza delle istituzioni che ci sono sempre state vicine, perché con Noemi nessuno si è mai tirato indietro, è stata completamente assente. Purtroppo, ancora c’è tanta omertà. Quando si toccano alcuni temi le persone hanno tanta paura e seppur a noi hanno manifestato affetto, lo hanno sempre fatto da lontano, ma si sono guardati bene dal venire in piazza. Io ci sono ritornata per mia figlia e per la mia famiglia ma credo che essere in quella piazza ieri, sarebbe stato importante per l’intera comunità perché ciò che è accaduto a Noemi potrebbe capitare ancora ad altri bambini, ai figli di ognuno. Quando mia figlia è stata ferita, c’erano tantissime persone presenti eppure nessuno si è fatto avanti. Anche Stefania, la mamma di Antonino, mi ha confermato che in Calabria si vivono le stesse situazioni. Anche lei, spesse volte, si è ritrovata da sola eppure ha sempre continuato le sue battaglie. Io mi aspettavo almeno la presenza di altre mamme con i loro bambini, ma non è stato così».

Aveva 3 anni Antonino Laganà quando fu raggiunto da un proiettile in bocca sul lungomare di Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria. Era il 6 giugno del 2008 e stava partecipando, insieme a tanti altri bambini, alla festa di fine anno scolastico, che si svolgeva nel santuario della Madonna Santissima di Porto Salvo.

All’improvviso comparve un uomo a bordo di uno scooter e cominciò a sparare all’impazzata tra la folla. Il suo obiettivo era un uomo di 50 anni, Francesco Borrello, che era riuscito a scampare ad altri numerosi attentati.

Le condizioni di Antonino apparvero subito gravissime e dopo un primo ricovero a Reggio Calabria, fu immediatamente trasferito all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma. Fu una battaglia lunga e difficile la sua, fatta di numerosi interventi e lunghi periodi di riabilitazione, ma alla fine riuscì a farcela. Stefania Gurnari, sua madre, che non lo ha mai lasciato da solo un attimo, oggi è la referente reggina del settore memoria nell’associazione Libera e si batte ogni giorno per diffondere la cultura della legalità in una terra, la Calabria, dove il fenomeno ‘ndranghetistico impedisce lo sviluppo e il cambiamento.

Il giorno dopo il ferimento di Noemi, ha sentito prepotentemente il bisogno di scrivere a Tania per manifestarle tutto il suo dolore e la sua vicinanza per ciò che stava vivendo.

«In quel momento – racconta – ho sentito dentro di me una grande sofferenza per l’inferno che stava attraversando quella mamma. Io, a differenza di molti altri, sapevo bene cosa significasse pensare di perdere il proprio figlio a causa di una violenza cieca che non si ferma neanche davanti a un bambino. In quella lettera che le inviai, le esprimevo anche tutta la mia rabbia per ciò che lei, ancora una volta, era stata costretta a vivere. Quella sofferenza la conoscevo bene e la stavo vivendo ancora per la piccola Noemi. Ho sperato tanto che, come era accaduto con Antonino, anche lei potesse essere figlia della rinascita e del riscatto e per fortuna, anche per lei, è andato tutto bene».

Quelle parole non rimasero inascoltate e per Tania furono importanti. Lei non riuscì a rispondere a quella lettera, ma chiese al suo avvocato di chiamare Stefania e ringraziarla. In quel momento drammatico nacque un rapporto importante tra due donne costrette a vivere il peggiore degli incubi: quello di perdere improvvisamente i propri figli in maniera tanto violenta quanto inspiegabile.

«Per me Stefania oggi come allora rappresenta il mio punto di riferimento – conclude Tania – perché mi rivedo in lei come in Antonino rivedo Noemi. Io la chiamo per qualunque cosa e lei è capace di darmi la forza che mi manca in alcuni momenti. Quando lei racconta la sua storia, io riesco a comprendere intimamente le sue emozioni, perché sono le stesse che hanno attraversato anche me. I nostri figli sono gli unici bambini sopravvissuti a un agguato mafioso e questo credo ci legherà per sempre. Ieri, all’inaugurazione del murale, li ho voluti accanto a me, è stato importante averli accanto, così come io – e Stefania lo sa bene – condivido tutte le sue iniziative. La violenza subita ci ha unite profondamente e ci vedrà sempre insieme anche nelle battaglie a favore della legalità».

GUARDA IL FILM IN IMMAGINI DELLA GIORNATA

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE