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Mario Gallo con Silvana Mangano e Luchino Visconti sul set di "Morte a Venezia"

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NELLA nostra rubrica Sguardi Meridiani: Cinema a Sud non poteva mancare il nome di Mario Gallo. Regista, critico cinematografico, saggista, produttore, l’intellettuale scomparso nel 2006 è stato un decano del cinema italiano capace di portare la Calabria nel panorama della cinematografia internazionale negli anni in cui il nostro cinema si imponeva per qualità e contenuti.

Nasce a Rovito, in provincia di Cosenza, nel 1918. La terra brulla di un paesaggio selvatico, identico a come si presentava cento anni prima, non ancora puntato dagli occhi senza scrupoli della speculazione edilizia, offre ai suoi abitanti gli unici mezzi di sostentamento. Il nonno paterno di Mario, figlio di contadini ma attento ai progressi della scienza, avvia una serie di attività commerciali e industriali. Socialista fiero del suo ideale politico, è impegnato in prima linea tanto da riuscire a portare, insieme al compagno e amico Pietro Mancini, proprio nella campagna rovitese, la festa del Primo Maggio con pochi lavoratori e giovani studenti universitari. Il padre, capotreno nelle Ferrovie dello Stato, è costretto ad emigrare in America proprio per la sua attività politica.

A differenza dei compagni di gioco, Mario ha la fortuna di frequentare la scuola e di studiare. Subito dopo la Liberazione si iscrive al Partito Socialista partecipando al sogno, condiviso da tanti giovani suoi contemporanei, di ricostruire il Paese, fondandolo su quegli stessi principi di uguaglianza, libertà, democrazia, pluralismo, che caratterizzeranno il nuovo assetto istituzionale. Diventa segretario della Federazione Socialista Giovanile, comincia a scrivere sui giornali locali e sviluppa, da spettatore, la sua smisurata passione per il cinema, che negli anni a venire diventerà il centro dei suoi interessi personali e professionali. Nel 1946 è a Roma per lavorare all’ufficio stampa della Direzione del PSI. Qui conosce Pietro Germi, in occasione della presentazione di Gioventù Perduta, il suo primo film, organizzata dai movimenti giovanili di sinistra. Frequenta il circolo romano del cinema e due anni dopo, nel 1948, riesce a costituire la Commissione Cinema del PSI, di cui fanno parte molti e noti registi italiani. Dopo il periodo buio della guerra, l’Italia ricomincia lentamente a vivere e avvia con entusiasmo un generale processo di crescita e trasformazione. Nel 1951 viene promosso critico cinematografico. Mentre ricopre il ruolo di redattore, inviato e critico del giornale, si occupa, nel contempo, dell’attività culturale del PSI.

Nel 1956, con un articolo sulla rivolta ungherese, inizia la collaborazione con l’Espresso, fondato e diretto da Arrigo Benedetti. A questo punto, giunto all’apice della carriera giornalistica, la Documento Film gli offre la possibilità di girare dei cortometraggi. Pochi giorni dopo è a Rovito dove realizza nove piccole perle del cinema etnografico, alcuni delle quali oggi introvabili. I lavori sono girati per passione verso la sua terra, senza le intenzioni antropologiche che poi vi saranno scorte. Protagonista è la civiltà contadina, prossima a scomparire. Per realizzare i film Gallo si avvale della collaborazione di alcuni suoi amici. E i nomi sono fra i più qualificati del cinema nazionale: Renato May per il montaggio, Egisto Macchi per le musiche. E Pier Paolo Pasolini. Ne Il Mago il poeta e regista è presente in quanto autore dei versi inediti declamati dalla voce narrante. Nel frattempo, capisce che la regia non è la sua strada perché si aprono per lui altre strade. Dal 1966 assume la carica di presidente dell’Italnoleggio Cinematografico e di presidente dell’Ente Autonomo Gestione Cinema (Cinecittà, Istituto Luce e Italnoleggio). In questa veste realizza decine di film: Roma di Federico Fellini, La caduta degli dei di Luchino Visconti, La tenda rossa di Mickail K. Kalatozov, Allonsanfan di Paolo e Vittorio Taviani, Partner di Bernardo Bertolucci, Nel nome del padre di Marco Bellocchio, L’udienza di Marco Ferreri, Portiere di notte di Liliana Cavani, La villeggiatura di Marco Leto. Terminati i ruoli pubblici sceglie di continuare a produrre con la società Filmalpha con la quale realizza film per il cinema e la televisione tra i quali Circuito chiuso di Giuliano Montaldo, Morte a Venezia di Luchino Visconti, Le stagioni del nostro amore e Bronte di Florestano Vancini, Cuore di cane di Alberto Lattuada, Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini, Ecce bombo di Nanni Moretti, La Frontiera di Franco Giraldi, Io e il Duce di Alberto Negrin.

La competenza e l’esperienza acquisite nel campo della comunicazione le trasmette, negli ultimi anni della sua vita, agli studenti universitari della Luiss, e, naturalmente, del Centro Sperimentale di Cinematografia dove insegna Produzione ed economia audiovisiva. L’ultima fatica è il libro “Cinema&Dintorni. Quello che la comunicazione non comunica e perché (Emmefilm, 2006), un saggio in cui Mario Gallo setaccia la storia e l’evoluzione del messaggio audiovisivo dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Nel 2007 la Cineteca della Calabria gli dedica un premio cinematografico giunto ormai alla quattordicesima edizione: nel suo nome è arrivato in Calabria il meglio del cinema italiano ed internazionale di questi anni. Per il 2021 è prevista la pubblicazione di un volume monografico, sempre edito dalla Cineteca, per celebrare una persona che, nonostante il suo grande successo, non ha mai avuto il culto di sé ma, certo, vorrebbe che di lui si dicesse: è stato un Uomo di Cinema, è stato un Produttore di Sogni.

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