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Gianni Amelio con il Premio Misiano

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Una lode per Gianni Amelio. Un elogio pubblico per un regista che ha arricchito il nostro immaginario con la sua opera di regista. Parole che accompagnano l’assegnazione del Premio Francesco Misiano, calabrese internazionale che ha modellato la storia del cinema nel nome del riscatto dei popoli.

Viene da altro brodo culturale Gianni Amelio, da San Pietro Magisano, provincia di Catanzaro, Calabria profonda, come Calabria profonda è Ardore che ha dato i natali all’internazionalista Misiano. Un autore Gianni Amelio come lo definisce Goffredo Fofi. Un autore particolare. Cresciuto nella temperie del secolo breve.

Nutrito dalla magnifica ossessione del cinema a Catanzaro tra le poltrone di quel Politeama che doveva essere il suo Cinema Paradiso (titolo della filmografia non realizzata che accompagna molti registi, ma anche romanzo di formazione della sua particolare condizione e luogo di crescita che da spettatore lo incita a diventare un creatore di storie e di personaggi).

L’opera di Amelio che qui celebro ed elogio, ha un fondamento noto e imprescindibile. Un elemento contestuale legato ad un padre che parte in Argentina per ritrovare il proprio padre. Ovunque nel mondo ci sono calabresi che hanno lasciato la propria casa e spesso, troppo spesso le loro famiglie. È il piccolo Gianni, che sogna al cinema, da quel poliedrico racconto di trame e spettacolo, ne trae una materia amniotica che fa della sua fulgida filmografia una costante ricerca del padre da parte di un figlio.

Mario Sesti, uno dei migliori esegeti di Amelio ha scritto di caccia edipica da parte del regista. Ma questa decisiva costante del cinema di Amelio, non sarà mai l’esaltazione dell’Io ipertrofico del regista che si psicanalizza dietro l’occhio della macchina da presa. Il dato biografico è la leva della crescita e dell’affermazione di un autore.

Gianni Amelio

Il Politeama alimentava le fantasie del ragazzo Gianni che volerà dalla miseria e dalla difficoltà della sua condizione per essere riconosciuto come autore. L’estetica ne trarrà vantaggio mescolando spettacolare intrattenimento da grande artigiano e l’intellettuale impegno delle sue immagini fondamento di un cinema adulto.

Come si può negare che la messa in scena di Amelio è la rivelazione della sincerità assoluta di un cinema nel quale lui esprime sempre se stesso. Concetti noti che vengono da antiche lezioni. Anche Amelio è stato giovane critico diventato regista. E se io devo lodare Amelio per un premio ho elementi per poter dire che Gianni Amelio è il cinema. Un cinema contaminato fatto di capolavori, esperimenti e anche insuccessi (più di pubblico che di critica in verità).

Per lodare Amelio non declinerò l’ampia bacheca di riconoscimenti e premi della sua esaltante carriera. Ritengo opportuno invece esemplificare come un autore popolare sia stato capace di essere una voce nazionale italiana che ha mostrato lo stato delle cose, la fine del gioco, nel momento più profondo dello scatafascio politico, morale, sociale e sociologico dell’Italia. “Il ladro di bambini” non è solo un film premiato e celebre. È un’opera coeva del brano “Povera Patria” di Battiato, una messa in scena di una storia che ci mostrava quello che eravamo diventati, un leopardiano discorso alla nazione.

Esiste questo filo rosso che ha permesso ad Amelio di cristallizzare il nostro Novecento. Anche “Lamerica” è il nostro Novecento. Chi meglio di Gianni Amelio ha saputo legare i bastimenti dei nostri padri verso i mari australi con le navi colme di albanesi che giungevano nel nostro Levante? L’opera d’arte cinematografica ferma e filma la storia come “Paisà” di Rossellini. Non mancano nelle opere di Amelio attori presi dalla strada e dalla vita reale. Uomini e bambini che diventano attori. Voci e facce prestate ai sentimenti di Amelio. Amelio l’autore.

Ma Amelio è anche scrittore, sceneggiatore, docente di cinema, critico e fervente ragazzo spettatore. Amelio è stato però anche un aiuto regista. Non è solo un apprendistato quello del regista che conquista il successo e il riconoscimento con la sua arte. Nella regia di Amelio c’è anche una tecnica preziosa frutto di lavoro maturato con De Seta, Puccini, Frezza, Gregoretti, Cavani. Ci sono i musicarielli, lo spaghetti western, i Caroselli.

Alto e basso dell’avventurosa storia del cinema italiano hanno plasmato l’estetica e la maestria tecnica dell’autore Amelio che ne fanno un regista potente nella sua narrazione per immagini. Nel lodare Amelio, un premio calabrese attraverso il suo laudatore, non può sottrarsi di elogiare il più grande regista calabrese di sempre. Nella filmografia di Amelio c’è una Calabria indiretta e quella diretta. Quella indiretta sta nell’Albania de “Lamerica”, nell’Algeria di Camus de “Il primo uomo”, sta forse nella sua intera filmografia. Ma non è una nostalgia etnica. È il vissuto di Amelio che si riflette nei suoi film. Poi c’è la Calabria diretta.

Nel bellissimo “La fine del gioco”, opera prima di Amelio, il ragazzo protagonista che esce dal riformatorio e si scontra con un regista interpretato da Gregoretti in uno scompartimento di treno, parla lo stesso catanzarese del regista. In quel momento, io penso, che sia accaduto quello che avverte Heidegger quando sente la parlata del soldato tedesco delle sue valli e il filosofo scrive in una sua pagina che quella è “Heimat”. Ma non riduciamola a piccola patria questa parola intraducibile per noi italiani. Heimat è il territorio dove siamo nati, i primi sentimenti che abbiamo vissuto, è il suono del nostro dialetto e dell’italiano stentato della nostra gioventù.

Paride Leporace e Gianni Amelio

È Heimat anche la Calabria breve de “Il ladro di bambini”. Lo sguardo cinematografico sull’edilizia incompiuta della geografia del disastro ci hanno fatto molto riflettere come calabresi alla ricerca di un’identità difficile da inquadrare tra carabinieri sentimentali e umani e parenti serpenti affamati di riti kitsch e gossip pulp. C’è Calabria in “Così ridevamo” a Torino la metropoli calabrese italiana e c’è pensiero calabrese ne “La città del Sole” che la luce alla Dreyer impreziosisce nell’Utopia del monaco rivoluzionario di Stilo.

Non è una filmografia minore quella televisiva e documentaristica di Gianni Amelio. Meritano ricordo la felicità del diverso omosessuale nel recuperare la cognizione dolorosa dell’italietta del dopoguerra, il documentario su “Novecento” di Bertolucci che andrebbe proiettato nelle scuole di cinema, “La morte al lavoro” telefilm realizzato con elettronica da pionieri e trasferito su pellicola, il metacinema di “Effetti speciali”, il film tv “Il piccolo Archimede” che fece scrivere a Tullio Kezich nel 1979: «Come mai il cinema italiano non si è accorto di Gianni Amelio?».

Se ne accorse nel 1982 con “Colpire al cuore” quando Amelio incrocia la sua poetica con il grande rimosso del terrorismo mai affrontato prima dal nostro cinema. Film bellissimo ma scomodo e sabotato dalla distribuzione e della televisione che l’aveva prodotto. Una ricerca del padre che continua con “I ragazzi di via Panisperna”. Ettore scompare e si aprono altre porte sciasciane in cui il film processuale raggiunge vette altissime e molto originali. La letteratura è stata spesso fonte preziosa per Amelio da plasmare per nuove originalità. Accade per “Le chiavi di casa” storia di un ragazzo disabile non illustre e soprattutto per “La stella che non c’è” dismissione partenopea di Rea che diventa profezia cinese. Un fumetto di gioventù segna la precarietà del lavoro, la luce di Bigazzi che illumina la tenerezza di un intrigo familiare.

Ma Amelio spiazza sempre ed è capace di riaprire con la sua estetica la revisione culturale su Bettino Craxi rendendo “Hammamet” toponimo cinematografico. Gianni Amelio autore. Gianni Amelio è il cinema. Nel consegnargli il premio Misiano lo ringraziamo a nome di molti cinefili e spettatori. Gianni Amelio grazie per averci dato il ruolo di figli che trovano un padre. Da onorare e riconoscere nella sua opera filmografica.

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