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Gianluigi Greco docente Unical

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Il 3 maggio arriva in Calabria per la prima volta l’Olivetti Day, tra i più importanti eventi dell’innovazione in Italia. Sarà l’occasione per incontrare Federico Faggin, l’uomo che ha fatto la Silicon Valley, e ascoltare le sue recenti riflessioni sul rapporto uomo-macchina, cruciali nella stagione della nuova Intelligenza artificiale. Il professor Gianluigi Greco ci introduce i temi dell’evento

IL 3 maggio arriva in Calabria, all’Unical, l’Olivetti Day, uno degli appuntamenti più rilevanti in Italia nel campo dell’innovazione. L’evento, che celebra il genio e l’ingegno, è dedicato alla visione di Adriano Olivetti: imprenditore, innovatore ma anche (o meglio, soprattutto) fautore di una filosofia aziendale nuova che non riduceva il valore della fabbrica al profitto. Si è parlato, per lui, di umanesimo industriale. L’impresa – nella sua visione – è al servizio della comunità e l’uomo è al centro. E l’innovazione tecnologica contribuisce sì allo sviluppo di una società avanzata, ma al tempo stesso solidale e giusta.

«Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica» è una delle sue citazioni più celebri. Provate a sostituire fabbrica con ‘intelligenza artificiale’: capirete quanto l’Olivetti Day, nella stagione di ChatGpt che apre a un’inedita relazione uomo-macchina, possa essere attuale.

GLI OSPITI DELL’OLIVETTI DAY IN CALABRIA

Tanto più se il relatore di punta dell’evento è Federico Faggin, l’uomo che ha fatto la Silicon Valley. Senza di lui ora sarebbe un campo per fiori e orchidee, e la previsione non è nostra ma di Bill Gates. A Faggin – vicentino, classe ’41, una laurea con lode in Fisica e un impiego alla Olivetti di Milano prima del grande salto verso la California – si deve infatti l’invenzione del microchip, che avrebbe poi aperto la strada a pc e smartphone. Realizzò anche i primi prototipi del touchpad e del touchscreen. Steve Jobs andò da lui per acquistare l’esclusiva di quella nuova tecnologia, ma Faggin rifiutò.

E fu una fortuna: Jobs riuscì a realizzare il touch screen da sé e l’ingresso sul mercato di iPhone e iPad aprì la corsa alla nuova tecnologia, per cui i competitor di Apple si rivolsero a Faggin e alla sua Synaptics. Nel 2010 il presidente Obama lo ha insignito della medaglia d’oro per l’innovazione.

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Federico Faggin

Molto atteso, insieme all’intervento di Federico Faggin, è anche quello di Luigia Aiello, considerata la madre dell’Intelligenza artificiale in Italia. Fondatrice e prima presidente della Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), Aiello sognava di diventare docente di matematica del suo liceo, nella provincia marchigiana. A Pisa poi, dove ha fatto l’università, alla Normale, ha capito che la sua strada era l’informatica. E a Stanford – nel laboratorio diretto da quel John McCarthy che nel ’55 aveva coniato l’espressione intelligenza artificiale – non ha avuto più dubbi su quello che sarebbe stato da lì in poi il suo ambito di ricerca.

Ci si aspetta, insomma, un confronto stimolante. «È un evento da vedere sotto tre prospettive» dice Gianluigi Greco, presidente di AIxIA e direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Unical, che ha organizzato l’appuntamento insieme a Francesco Beraldi, presidente di Talent Garden Med, e Mimmo Talia, ordinario di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Unical.

«La prima prospettiva è legata naturalmente alla figura di Olivetti. Celebriamo un modello di sviluppo che è anche sociale, culturale e umano. In un’era in cui le persone temono che le macchine ci sostituiranno, l’evento rimette al centro la persona: alla base dell’innovazione c’è sempre l’uomo – dice Greco – Tutte le storie a cui dà voce l’Olivetti Day parlano proprio di innovazione che guarda alle persone e alla società».

Parlava di tre prospettive. Le altre?
«La seconda riguarda le storie che ospiteremo all’Unical (l’appuntamento del 3 maggio è in aula magna, dalle 9, ndr). Sono tutti innovatori di prima generazione. Non si tratta quindi di imprenditori che hanno ereditato aziende, ma di imprenditori che hanno creato le proprie aziende da zero. Speriamo che la loro esperienza possa essere d’ispirazione per studentesse e studenti. E poi c’è l’intervento di Faggin. Lui non solo è stato un grande dell’innovazione, è uno dei padri storici dell’innovazione. Il mondo digitale nasce da lui, è l’antesignano di Jobs e Gates. Oggi, però, a lui dobbiamo anche altro: una profonda riflessione sull’intelligenza artificiale. Quanto sono diverse da noi queste nuove ‘macchine’? Da Turing in poi tutta l’intelligenza artificiale ha ruotato intorno all’idea della macchina che imita l’uomo. Oggi però siamo davanti ad una Ai che ha la capacità di superare il test di Turing».

Siamo nella stagione di ChatGpt (peraltro da poco di nuovo disponibile anche in Italia) . È stata un po’ uno spartiacque, forse, anche gli scienziati sembrano averne paura.
«Immagino si riferisca all’appello firmato da centinaia di esperti del settore in cui si chiede di bloccare per sei mesi lo sviluppo di ChatGpt. Pochi giorni fa come AIxIA abbiamo ospitato Yoshua Bengio, tra i maggiori scienziati nel campo dell’intelligenza artificiale, premio Turing (il Nobel dell’informatica, ndr) nel 2018 e primo firmatario di quella lettera. Lui spiega che l’appello non vuole fermare l’evoluzione tecnologica. Il punto è, dice Bengio, che queste macchine che superano il test di Turing hanno bisogno di un’attenzione particolare. Sono come gli uomini? Cosa stiamo creando? Nello stesso solco si inserisce la riflessione di Faggin. Qual è la differenza tra uomini e macchina?
Quando faranno tutto quello che facciamo noi, cosa avremo creato? Cosa c’è di irriducibile nell’uomo? Turing non si era posto questo problema, oggi invece è una questione cruciale. Per Faggin a essere irriducibile è la coscienza. Le macchine, sostiene, possono sapere le cose, mentre gli uomini le conoscono».

Le macchine non accedono al livello semantico.
«Sì, riconoscono i simboli. La percezione umana è qualcosa che va oltre. Faggin ci invita a pensare che venga prima della materia».

BISOGNA AVER PAURA DI CHATGPT?

AIxIA non ha firmato però l’appello.
«Abbiamo scelto di non farlo perché era troppo generico sugli obiettivi, non c’erano riferimenti alla necessità di una regolamentazione e poi c’erano firme che risultavano divisive, come quella di Elon Musk».

Qual è la vostra posizione?
«Riteniamo essenziale che venga introdotta una regolamentazione del settore. C’è una proposta di legge del Parlamento Europeo che introduce regole per l’intelligenza artificiale, in discussione ora da tre anni. I parlamenti degli Stati membri hanno dato il parere, sono state raccolte oltre 3mila osservazioni: l’obiettivo è approvare entro fine anno. Noi diciamo che non si può fare tutto con questa tecnologia. Servono regole, com’è stato fatto con la clonazione o l’uso delle armi atomiche. Al momento l’Europa è l’unica che si è posta la questione. La Cina sta entrando in questo mondo, sta creando un Ai language model come ChatGpt 4, ma ne sappiamo davvero poco. Gli Stati Uniti sono un po’ un far west, finché non si presenta un problema non intervengono. Il punto è che, come dice anche Bengio, il problema c’è già».

Ma è possibile porre dei limiti concreti?
«Si può fare. È vero che tutti dal proprio pc possono sviluppare programmi anche piuttosto evoluti, ma tecnologie del livello di Gpt 4 sono in mano solo a pochi player internazionali: Open Ai, Google, Microsoft e pochi altri. Serve una potenza di calcolo che non è alla portata di tutti, in Europa non esiste neanche un’infrastruttura adeguata. Il problema semmai è quello del digital divide: c’è una parte del mondo che può fare alcune cose e il resto no».

Ma la sua posizione, professore, qual è?
«Condivido le preoccupazioni. Non bisogna fare catastrofismi né essere pessimisti, ma non si può lasciare deregolata questa tecnologia. Ma non è la tecnologia in sé a preoccuparmi, è l’uso che ne possiamo fare. Mi spiego meglio. Molti mi chiedono se l’intelligenza artificiale potrà sostituirci, in molte professioni. Io non ho questo timore e devo dire che condivido l’analisi che Noam Chomsky ha fatto qualche settimana fa sul New York Times.
ChatGpt si basa su sistemi di machine learning e ci dice delle cose perché estrae e rielabora informazioni presenti già in milioni di testi disponibili in rete. Ma non può dirci nulla di più di quanto noi sappiamo già: non può elaborare teorie nuove. Ecco, quello che penso è che questi sistemi finiranno paradossalmente per darci l’opportunità di far emergere la nostra creatività e la capacità di innovare. Quello che mi preoccupa invece è il possibile utilizzo di queste tecnologie a supporto delle decisioni, dalla medicina alla giustizia».

Al di là delle preoccupazioni, quindi ChatGpt non la impressiona neanche un po’?
«No, a dire il vero. Sono più colpito invece da quello che riesce a fare Dall-E, l’algoritmo che crea immagini partendo da una descrizione testuale. Qui la capacità di generare dell’intelligenza artificiale viene guidata da una creazione dell’uomo, è lui a descrivere che immagine vuole. C’è un’interazione più profonda tra uomo e macchina e questo mi affascina».

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