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Un fotogramma della fiction "La sposa"

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Non c’è pace per “La sposa”. Dopo i malumori a Vieste per l’equivoco tra l’ambientazione narrativa e la realtà dei luoghi dove è stata girata la fiction (nel Gargano), e l’indignazione di tanti calabresi, adesso ad offendersi sono pure i veneti.

Se infatti la Calabria è rappresentata come fenomeno di arretratezza e ignoranza, nella miniserie Rai non fanno figura migliore il Veneto e la sua gente, che appare misogina, razzista e gretta. Contro la fiction diretta da Giacomo Campiotti si è scagliato il presidente del Consiglio regionale veneto Roberto Ciambetti, che solidarizza con i calabresi sottolineando come “La sposa” oltraggi un po’ tutti con «cliché grotteschi che mettono in ridicolo sia i veneti che le calabresi».

Così dichiara al Gazzettino il leghista Ciambetti, anche lui sulla lunghezza d’onda dei tanti intellettuali calabresi che hanno trovato nella fiction diversi falsi storici, «errori, imprecisioni e una marea di luoghi comuni». Ma gli ascolti sono un baluardo e Rai Fiction dovrebbe accendere un cero a Serena Rossi: tra tante gaffe, è esclusivamente il suo personaggio, l’appassionata Maria, ad aver conquistato il pubblico, facendo perdonare ogni altra magagna (a questo punto moltissime, viste le critiche trasversali).

Per il resto, persino per i veneti – e nonostante l’affezione per l’attrice, madrina all’ultima mostra del cinema di Venezia – le lotte operaie alla vigilia del Sessantotto, che furono il reale scenario storico di quegli anni sia a Nord che a Sud, sono eventi completamente traditi per lasciare carta bianca a un romanzetto popolare e infarcito di stereotipi anacronistici.

Il presidente dell’assemblea veneta ha espresso ufficialmente il dissenso ai vertici alla produzione della fiction. Una posizione ben più netta di quella che invece in Calabria è stata manifestata soltanto dalla “pancia” degli spettatori, oltre che da scrittori e storici, ma non dalla politica. L’unico ad intervenire con una bocciatura colorita (#facagare) è stato l’ex presidente della giunta regionale facente funzioni Nino Spirlì, demolendo “La sposa” per la stranezza del dialetto e gli elementi scenografici di folklore kitsch come le madonnine di plastica, i salami di ‘nduja e gli asini. A proposito di questi ultimi, a Spirlì non disturbavano nel cortometraggio “Terra mia” di Gabriele Muccino, che proponeva lo stesso tipo di ammuffito immaginario calabrese, con l’aggravante di voler essere una storia contemporanea.

Ai tanti che sulla sua seguitissima pagina Facebook glielo hanno fatto notare, lui ha replicato con uno sfacciato dietrofront. Ammettendo che il lavoro di Muccino non gli era mai piaciuto, tanto da aver tagliato un asino nella revisione del corto dove aveva preso le redini per uno spiccio directors cut in senso più turistico e promozionale. Ma il vero male qui non sono le testarde bestie proverbialmente identificate con la stupidità. Un asinello, Barò, era il pupillo della Bersagliera Gina Lollobrigida in “Pane, amore e fantasia”, dove i difetti di veneti e meridionali erano oggetto di comiche parodie. E non se la prese mai nessuno. Certo, quello era Comencini.

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