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Parte della manifestazione pro-ambiente tenutasi a Cosenza nel 2019

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COSENZA – «Che ne pensi del cambiamento climatico?». Per non rimanere delusi e soprattutto senza una risposta, la domanda in questione non andrebbe posta ai calabresi. Il motivo? Semplicemente perché chi vive in regione appare piuttosto indifferente a quanto accade nell’ambiente circostante e sembra mostrarsi tale anche dinnanzi alle possibili conseguenze negative che le problematiche ecologiche farebbero scaturire sulla qualità della vita.

A sostenerlo sono gli ultimi dati Istat che, per l’appunto, misurano l’aspetto qualitativo dell’impatto delle trasformazioni climatiche sulla quotidianità. Dunque, di mancanza di verde, consumo di suolo, inquinamento atmosferico e temperature medie elevate gli abitanti della Punta dello Stivale non si curerebbero granché. «Basse quote di preoccupazione» in Calabria – dove si tocca il picco negativo del 60,4 per cento (fa lievemente peggio solo la Sicilia, col 61,6 per cento) – è non a caso la rilevazione dell’Istat che, ogni anno, misura il benessere equo e sostenibile (Bes), attraverso una serie di indicatori relativi alla qualità della vita e all’ambiente; indicatori come quelli, più in particolare, in grado di valutare la sensibilità dei cittadini alle problematiche ambientali e la loro percezione sulla vita.

Nel dettaglio, e in linea generale, dal 2019 è calata la preoccupazione per i cambiamenti climatici in tutta Italia, ma, a differenza del nord e del centro del Paese dove si riscontra maggiore preoccupazione, le quote più basse si hanno nel Meridione. E ciò soprattutto, come si diceva, in Sicilia e in Calabria.

Un fatto, questo, facilmente immaginabile anche a prescindere da dati e statistiche, una circostanza riscontrabile pure solo osservando la “parabola negativa” che ha contrassegnato alcuni dei movimenti pro-ambiente nati negli ultimi anni sul territorio.

La sezione calabrese di “Fridays for Future”, per esempio, aveva entusiasmato moltissimi giovani, residenti a queste latitudini: basti ricordare la manifestazione del 2019 organizzata nella città di Cosenza dove migliaia di giovani studenti e attivisti accorsero appassionatamente per fare la propria parte, per non rimanere in disparte davanti al susseguirsi di “malsane” pratiche ambientali. Dopodiché sì, la pandemia, il lockdown, che hanno senza dubbio rappresentato un freno e una battuta d’arresto alla possibilità di aggregarsi, ma, allo stato, nessuno pare poi aver battuto un colpo.

Dal centro bruzio, alcuni dei coordinatori dell’«ei fu» movimento (ci si riferisce sempre alla sezione calabrese) ammettono che «non se ne sia fatto più nulla, per l’emergenza sanitaria e anche per una difficoltà di intenti e organizzazione».

Da Reggio, invece, un gruppo di ragazzi, sempre afferente al movimento, sta cercando di riprendere le fila del discorso («Da un paio di mesi stiamo cercando di riprendere le nostre attività, bloccate dall’emergenza sanitaria. Dopo i grandi scioperi a cui partecipammo, sempre in Calabria, nel 2018 e nel 2019, vogliamo tornare a farci sentire, sensibilizzando giovani e famiglie anche sugli sprechi alimentari e non solo, sulle buone pratiche che, a partire da piccoli gesti, possono essere compiute, ad esempio, sulle nostre coste, per il nostro mare», dichiarò lo scorso luglio la referente del gruppo Irene Zante a questo giornale). Qualora si riuscisse nell’impresa, visti i dati e gli studi Istat, sarebbe una vera (e importante) notizia.

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