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Renzo Arbore, in concerto a Cirella e a Roccella

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L’ESTATE è quella che è. Tra dubbi e paure, chiusure e divieti. Renzo Arbore, invece, è una certezza, e anche quest’anno sarà in Calabria per tentare di dare un senso, insieme alla sua Orchestra italiana, a questo periodo ambiguo di interrogativi sotto l’ombrellone. Due i concerti: questa sera, 19 agosto, al teatro dei ruderi di Cirella e il 21 a Roccella Jonica. Due tappe alle quali la band arriva dopo le prime tre esibizioni post lock down a Portici, a Sorrento e a Bisceglie. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: l’allegria travolgente e le belle e indimenticabili canzoni napoletane.

Arbore, con che spirito si sale su un palco dopo quello che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo?

«Siamo tutti spaventati da questi provvedimenti, inutile negarlo. Tutte decisioni che ci fanno cambiare lo spirito del concerto, che è un concerto da ascolto, diciamo, pensato proprio per evitare gli assembramenti. Il divertimento, però, è sempre lo stesso».

Insomma, lei e l’Orchestra italiana siete ripartiti con la solita allegria.

«Abbiamo fatto tre concerti, ora ne sono in programma una quindicina. Che si sommano ai 1500 fatti da quando questa orchestra si è formata, nel 1991. Quando ci penso mi sembra sempre una cifra impressionante. Abbiamo una vitalità superiore a quella di molti altri artisti».

In questi tre concerti ha notato un atteggiamento diverso da parte del pubblico?

«Forse un po’. C’è da dire però che il mio è un pubblico particolare. E’ lo scelto pubblico, come si diceva in tv. E’ un pubblico maturo, consapevole, che vuole vedere delle cose che non siano le solite ai concerti come alla radio come in tv. Un pubblico attento e preparato che sa quali sono le cose da evitare. Che rispetta le regole esattamente come le rispetteremo noi e saremo degni di Cirella e di Roccella».

L’obiettivo di questi tempi qual è? Divertire, distrarre, far riflettere…?

«L’obiettivo è divertire e stupire. Come sempre. Come i programmi che ho fatto, nei quali ho cercato sempre i ricordi, le cose belle, lo swing quando nessuno lo conosceva, le canzoni della memoria…».

Ma lei come fa ad adeguarsi sempre ai diversi modi di comunicare e di fruire della televisione e della musica?

«La curiosità. Io guardo molte cose. Per questo adoro internet, trovo che sia una benedizione».

Davvero?

«Certo. Sono innamorato della rete. E mi diverto da morire sul mio canale, renzoarborechannel.tv, dove dal 2007 metto, gratuitamente e senza pubblicità, brani del mio repertorio ma anche cose di altri artisti che piacciono a me. Pensi che una versione di “Ma la notte no” di Maurizio Casagrande è arrivata a un milione di visualizzazioni, cifre pazzesche per una web tv. Ed è lì che è nata l’dea di Striminzitic show».

Perché lei non si è fermato neppure durante il lockdown e si è inventato questo programma quotidiano con Gegè Telesforo…

«Un programma azzardo. Una scommessa. Invece la gente, dopo aver passato una giornata a informarsi, a tarda notte vedeva noi e gli ascolti ci hanno premiato».

Invece il suo rapporto con i social network qual è?

«Mi piacciono pure. Pensi che sono pure su Tik Tok. Insieme al mio regista troviamo delle cose e le mettiamo sul sito. Passo il tempo a vedere, che so, anche i video di cani, gatti, dei modi in cui si può tagliare un cocomero. Evito ovviamente il pettegolezzo, le risse verbali, le polemiche gratuite. Quello non mi interessa, non mi è mai interessato neppure in tv. La rete è una benedizione meravigliosa per scoprire tante cose del passato, ma anche del presente. Magari ce l’avessimo avuta al tempo della nostra generazione».

Ma lei è stato un inventore, un precursore… prima di lei c’era ben poco

«Lasci stare… noi per imparare una canzone dovevamo andare in biblioteca, cercare un testo era faticosissimo. Ora è tutto a portata di mano. Ecco, la rete deve essere usata per questo».

Quando lei oggi si guarda intorno cosa vede?

«Non vedo grandi novità. Il varietà, poi, è sofferente e non è un momento molto importante per l’intrattenimento televisivo. Io ho vissuto cose bellissime, l’arrivo del rock ‘n’ roll, del jazz, della musica beat, le stagioni bellissime degli anni Ottanta quando si è scoperto un nuovo modo di far ridere. Programmi come “Quelli della notte”, ma anche “Drive in” o quelli di Serena Dandini. Adesso è tutto fermo. Una specie di pausa fatta di giochi e canzoni».

La musica le piace?

«Poco. Per fortuna ci sono sempre i grandi baluardi. Vasco Rossi, per esempio».

E tra i comici?

«Capiscuola non ce ne sono. Pensi che fa ridere ancora Nino Frassica (risata, ndc) e con lui abbiamo cominciato insieme. Uno bravo è Checco Zalone ma purtroppo si è dato subito al cinema».

Un suo possibile erede?

«Jovanotti. Uno pieno di fantasia».

Secondo lei mancano i talenti o mancano gli autori?

«I talenti. Ce ne sono pochi e io ne cerco. Sono pochi perché non fanno la gavetta, non conoscono le basi. Possibile che non trovo uno che sappia raccontare bene le barzellette?».

Arbore e la Calabria: quali ricordi ha?

«Tantissimi. Il primo concerto anti nord a Catanzaro, per esempio. C’era Bossi che voleva dividere l’Italia, una cosa della quale ancora oggi sono nemico. Allora feci questo concerto a Catanzaro nel quale facevo il patriota in mezzo a tante bandiere tricolori. L’Italia è bellissima proprio perché è varia. Posti, abitudini, musei, tutti diversi».

Poi?

«Ho fatto molti concerti a New York con Ray Charles. Ma forse non tutti sanno che il mio primo concerto con lui lo feci proprio in Calabria, a Soverato. E un Capodanno bellissimo in piazza Cosenza. Di Cosenza è anche il mio bassista, Massimo Cecchetti. Con la Calabria però mantengo vivo un rapporto gastronomico molto intenso».

In che senso?

«A Roma ho il mio pusher, un negozio in piazza Bologna dove ogni mercoledì arriva il baccalà da Cittanova e io sono lì. E poi compro anche la ‘nduja, i peperoni cruschi, la salsiccia…»

C’è qualcosa che prima la divertiva e adesso non la diverte più?

«Lo shopping. Prima mi piaceva molto e lo facevo in tutto il mondo. Le camicie, i vestiti, i gadget, le cose strane. Adesso mi piace di meno. Un po’ perché sono pieno io – e ho fatto già un paio di mostre – un po’ perché si vedono sempre le stesse cose».

Lei si annoia mai?

«Mi tiene vivo la passione e con questa cerco di sconfiggere la noia. La passione è la cosa che raccomando alle nuove generazioni. Per tutto: dalla musica alla gastronomia ai libri, è sempre una scoperta continua».

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