Chiara Francini
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 LA VOCE DI CUPIDO, CHIARA FRANCINI PROTAGONISTA DEL FILM GIRATO IN CALABRIA
- 1.1 Come hai affrontato questo personaggio?
- 1.2 Quanto di Chiara Francini c’è in questo ruolo e quali aspetti emotivi hai voluto sottolineare maggiormente?
- 1.3 Le tue origini toscane si incontrano sempre più spesso con ambientazioni e produzioni del Sud Italia. Che rapporto hai con la Calabria, e cosa ti ha colpita di più nel lavorare o nel raccontare realtà meridionali?
- 1.4 Ritieni che oggi il mondo del cinema e della televisione italiana sia davvero pronto a superare il maschilismo di sistema?
- 1.5 Si parla molto di “quote rosa”, ma meno spesso di reale parità di riconoscimento e opportunità. Nella tua esperienza di artista e autrice, quanto è cambiato – se è cambiato – l’approccio alle professionalità femminili nel settore?
Intervista a Chiara Francini il 30 dicembre su Rai Uno con “La voce di Cupido”, il nuovo capitolo ambientato in Calabria della serie Purché finisca bene
La corsa verso la fine del 2025 stavolta prende la forma di un camion che, come conducente, ha Chiara Francini, l’attrice toscana che interpreta Paola, camionista dalle unghie perfette e dal carattere forte.
Una commedia romantica – andrà in onda in prima serata il 30 dicembre su Raiuno – che si svolge tra sfasciacarrozze, motel per camionisti, boschi incontaminati, nebbia e una Calabria tutta da scoprire è una tentazione praticamente irresistibile per qualsiasi regista. Perché i codici della commedia romantica ci sono tutti, ma le ambientazioni, i costumi, le luci, il montaggio e la musica rimandano invece a qualcosa d’altro. E la commistione tra le due anime di questa storia dà vita a una storia nuova, divertente e mai banale.
LA VOCE DI CUPIDO, CHIARA FRANCINI PROTAGONISTA DEL FILM GIRATO IN CALABRIA
“La voce di cupido” è stato girato in provincia di Cosenza tra Rende, Taverna, Zumpano, Castrolibero e San Pietro in Guarano con un set speciale anche nella sede di Castrolibero della redazione de l’Altravoce – Il Quotidiano. Scritto da Maria Sole Limodio e Pietro Seghetti per la regia di Ago Panini racconta la storia di Paola, camionista che a pochi giorni dal Capodanno sta per vincere un’importante gara nazionale. Paola non ha peli sulla lingua e si ostina a trattare con sarcasmo Carlo, un raffinato conducente di NCC. Ma in lei si nasconde un’anima sensibile: è innamorata della voce di Lucio Ricci e del suo podcast La Voce di Cupido.
Ed ecco che una mattina Paola fa un incidente proprio con Lucio. Inizia così un viaggio esilarante tra Paola, Carlo e Lucio, un triangolo sbilenco, alla ricerca di un pezzo per riparare il camion di Paola e soprattutto per ricomporre i pezzi del suo cuore. Abbiamo parlato con Chiara Francini del film, ma soprattutto del suo rapporto con la Calabria e delle donne oggi. Ne “La voce di Cupido” interpreti il personaggio di Paola, una camionista che si impone in un mondo maschilista, ma che non vuole rinunciare all’amore.

Come hai affrontato questo personaggio?
«Paola l’ho affrontata senza chiedere permesso, come si fa con le cose necessarie. È una donna che lavora in un mondo che non la prevedeva e proprio per questo non sente il bisogno di spiegarsi. Ma Paola non nasce dal nulla: viene da una storia di trasmissione, da un padre camionista che le ha insegnato il lavoro, la competizione, il rispetto per la strada e per la fatica. Il camion che guida porta il suo nome, Armando, ed è molto più di un mezzo: è una memoria in movimento. Paola non si limita a “fare un lavoro maschile”, fa un lavoro ereditato, amato, difeso. E dentro questa eredità non rinuncia all’amore».
Quanto di Chiara Francini c’è in questo ruolo e quali aspetti emotivi hai voluto sottolineare maggiormente?
«C’è la mia idea di femminile, che non è mai contrapposizione ma tenuta. Mi interessa raccontare donne che sanno stare dentro la complessità senza semplificarsi. Paola è ironica, ruvida, tenera, competitiva. Porta avanti il sogno del padre – una gara, un premio, una dignità conquistata chilometro dopo chilometro – ma lo fa con un corpo e una voce che non rinnegano il desiderio. L’amore, per lei, non è un premio finale ma una parte del viaggio. Perché la forza, quando è vera, non chiede di rinunciare a nulla: tiene insieme».
Le tue origini toscane si incontrano sempre più spesso con ambientazioni e produzioni del Sud Italia. Che rapporto hai con la Calabria, e cosa ti ha colpita di più nel lavorare o nel raccontare realtà meridionali?
«Non ho origini familiari nel Sud Italia, non ho mai avuto parenti al Sud, e proprio per questo il mio legame con il Sud – e con la Calabria in particolare – non è genealogico, ma profondamente scelto. È un’appartenenza che nasce dal modo in cui guardo il mondo, dal modo in cui scrivo, dal modo in cui mi avvicino alle storie. Nel libro che ho scritto, ma anche nel mio approccio artistico, sento una consonanza fortissima con il Sud Italia: una idea di giustizia che non è teorica, che non passa dai proclami, ma dalla vita concreta, dal lavoro, dalla resistenza quotidiana. “La voce di Cupido” è, senza esitazioni, un inno alla Calabria. Un inno sensoriale, quasi olfattivo: la terra, l’aria, le strade, la Sila che non fa da cartolina ma da presenza. È un film che restituisce la Calabria come luogo vivo, non addomesticato. Dentro questa terra si muove Paola, e insieme a lei una idea di lavoro come dignità: il lavoro dei camionisti, delle persone che tengono in piedi il mondo mentre nessuno guarda. Anche la gara che attraversa il film non è folklore: è orgoglio, memoria, continuità. Per questo credo davvero che questo film parli ai calabresi in modo diretto, senza mediazioni. La Calabria è una terra che frequento spesso, che conosco camminandoci dentro, non da lontano. È una regione che mi ha insegnato qualcosa di essenziale: la forza che nasce dalla prossimità alla verità. Non una forza esibita, ma una forza che tiene, che resta. Per questo, per me, la Calabria assomiglia molto alle donne: è vicina alla vita, non la addomestica; non cerca indulgenza, ma dignità. E forse è proprio questo che mi lega così profondamente ai calabresi: quella capacità di stare nel mondo senza edulcorarlo, senza mentire».

Ritieni che oggi il mondo del cinema e della televisione italiana sia davvero pronto a superare il maschilismo di sistema?
«È pronto a dirlo, non sempre a praticarlo. Il maschilismo oggi è spesso silenzioso, incorporato nelle dinamiche, nei ruoli assegnati, nelle aspettative. Raccontare una donna come Paola – che non chiede di essere accettata ma semplicemente esiste – è già una risposta. Il superamento vero arriverà quando una storia così non verrà più letta come eccezionale».
Si parla molto di “quote rosa”, ma meno spesso di reale parità di riconoscimento e opportunità. Nella tua esperienza di artista e autrice, quanto è cambiato – se è cambiato – l’approccio alle professionalità femminili nel settore?
«È cambiato il linguaggio, non sempre lo sguardo. Le quote possono aprire una porta, ma non bastano a cambiare la stanza. La vera parità è quando una donna non deve rappresentare “le donne”, ma solo sé stessa. Paola non è un simbolo: è una persona. E credo che raccontare persone, radicate nel lavoro, nella memoria e nella vita concreta, sia il modo più onesto per spostare davvero qualcosa».
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