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Pasquale Megna

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L’agghiacciante racconto dell’omicidio di Giuseppe Muzzupappa fatto dal killer oggi collaboratore Pasquale Megna all’interno di un bar a Nicotera Marina

VIBO VALENTIA – Il 26 novembre 2022 cambiò la sua vita che lo avrebbe portato a diventare collaboratore di giustizia. Quella sera Pasquale Megna uccise Giuseppe Muzzupappa in un locale sito a Nicotera Marina, episodio culmine di una vicenda che si protraeva da anni e che vedeva la famiglia del pentito essere additata da Antonio Campisi, elemento a capo del gruppo del quale faceva parte la vittima, della morte del padre Domenico, broker della droga, avvenuta nel 2011.

Intimidazioni, danneggiamenti, dispetti hanno caratterizzato gli anni successivi fino al tragico epilogo dello scorso autunno. È lo stesso Megna a raccontare le fasi alla Distrettuale antimafia di Catanzaro: «Verso le 19, mentre andavo in pescheria ho visto che, al bar Planet, c’erano i miei operai che mi chiedevano di fermarmi con loro per prendere una birra. Sono quindi entrato» e lì si è accorto di essere stato visto da un soggetto che aveva un telefono in mano.

OMICIDIO MUZZUPAPPA, L’AGGHIACCIANTE RACCONTO DEL KILLER

I minuti passano e ad un certo punto sul posto arriva una Fiat Panda ad alta velocità al cui interno c’erano Francesco Pio Campisi (fratello di Antonio) e il cugino Muzzupappa. Alla loro vista, Megna fa chiamare il padre per venire in suo soccorso ma la situazione inizia subito a degenerare: «Ricordo che nel bar sono entrati i due cugini, Muzzupappa avanti e Campisi dietro, che è rimasto sull’uscio».

Il pentito girava da qualche tempo armato perché temeva per la sua incolumità: «Avevo un gilet aperto ed una 38 special custodita sul fianco destro. Quando li ho visti entrare ho alzato immediatamente il cane della pistola. Muzzupappa si trovava dal lato della cassa, io mi nei pressi della porta che dà accesso alla sala slot. Francesco Pio si era fermato invece sullo scalino situato prima dell’uscio dell’ingresso del bar».

Megna riferisce che la vittima, una volta entrata nel locale lo ha invitato ad uscire ma inizialmente non gli diede retta con la scusa di prendere tempo sperando nell’arrivo del padre. Ai pm ammette di non sapere il motivo per il quale non ha subito pensato di scappare dalla porta sul retro ma di averlo fatto tante volte; dopo l’omicidio, aggiungendo che in quel momento si sentiva «bloccato per la concitazione e perché ho pensato che quel giorno sarei morto, anche perché loro erano due ed io avevo una pistola con solo 5 colpi».

IL TENTATIVO DI DIFESA DI MUZZUPAPPA

Al secondo invito di Muzzupappa, Megna ha «alzato la mano sinistra come a dirgli di lasciarmi stare. Mi disse “attia nesci fora” oppure “o tamburru nesci fora”. A quel punto ricordo solo di aver visto Muzzupappa che prendeva con la mano destra la pistola, sembrava una piccola Glock che portava con sé, e a quel punto ho impugnato la mia e gli ho sparato frontalmente, a circa 3/5 metri di distanza, i primi due colpi. Non ho visto dove l’ho attinto, quando però gli ho sparato mi sono accorto che il suo ginocchio destro ha ceduto facendolo sbilanciare all’indietro e dopo aver sparato il secondo colpo è caduto con la schiena a terra».

La vittima, nel cadere, avrebbe perso di mano la sua pistola cercando di recuperarla strisciando per terra ed è stato proprio in quel momento che il pentito lo ha finito con altri tre colpi, riferendo inoltre di aver perso di vista Campisi. Quindi la fuga precipitosa dal locale.

Durante il suo periodo di irreperibilità, durato circa due mesi, Megna racconta di aver affrontato la questione delle telecamere nel locale e che lui lo aveva «rassicurato in proposito, dicendomi che addirittura che quelle del paese non erano funzionanti e che i vestiti, li avevano incendiati».

L’ultima volta che il pentito racconta di aver visto Muzzupappa questi era ancora riverso a terra nel bar. Una scena notata anche dal padre che sulle prime riteneva «che quel corpo riverso fosse il mio, ma poi si è reso conto che la mia macchina con alla guida OMISSIS si stava allontanando».

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