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La sede Aterp di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Pienamente assolto Giuseppe Romano e, per due accuse su tre, condanne annullate anche per Antonino Daffinà, rispettivamente ex direttore generale ed ex commissario straordinario dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica di Vibo Valentia.

Per la Corte dei Conti di Roma, che ha discusso l’appello (LEGGI) contro la sentenza di primo grado che condannava i due vertici dell’Aterp di Vibo Valentia, in sostanza, la locazione prima e l’acquisto dopo della sede dell’ente, fatti risalenti al periodo tra il 2011 e il 2014, devono essere considerata una decisione legittima in quanto riguarda «l’area di merito riservata all’autorità amministrativa (insindacabile)».

Da ciò ne deriva «l’assoluzione di Romano perché non è stata adeguatamente provata l’inutilità della spesa» mentre per quanto concerne Daffinà l’assoluzione deriva dal fatto che «appare evidente che alcuna condotta dolosa o gravemente colposa può imputarsi a Daffinà il quale, sulla scorta di una valutazione resa da Romano, si limitò a dare corso ad un atto già definito negli aspetti sostanziali, in assenza di sopravvenienze qualificanti e legittimanti la revoca».

La vicenda della sede dell’Aterp di Vibo Valentia

Si chiude così (forse) la vicenda, che a suo tempo fece molto discutere, riguardante la locazione e, alcuni anni dopo, l’acquisto da parte dell’Aterp di un palazzo in pieno centro a Vibo Valentia come sede dell’azienda.

La vicenda ha origine, ricorda la stessa Corte dei Conti, nel settembre 2010 quando l’allora direttore generale Giuseppe Romano indice una gara per la locazione di locali da adibire a nuova sede dell’Aterp di Vibo. A seguito della gara nel 2011 veniva sottoscritto un contratto di locazione per una estensione in metri quadrati di molto superiore a quella inizialmente prevista. Inoltre, il contratto prevedeva la prelazione d’acquisto con lo sconto dei canoni di locazione pagati se effettuato entro due anni dal contratto. Successivamente, l’acquisto è stato formalizzato ma in un termine successivo ai due anni.

Un acquisto definito da importanti esponenti politici, come il sottosegretario Dalila Nesci ad esempio, anche inutile e dannoso stante l’accorpamento delle Aterp deciso, al tempo, dalla Regione Calabria.

Ne seguì una indagine e la procedura attivata presso la Corte dei conti la cui sede calabrese giunse alla condanna di diversi protagonisti di tutta la procedura.

«È la dimostrazione – ha dichiarato l’ex commissario straordinario dell’Aterp, Daffinà – che le nostre scelte politico-amministrative erano legittime. L’acquisto della sede e il suo utilizzo in prospettiva anche per ospitare altri uffici regionali (come oggi effettivamente avviene) era una visione di lungo periodo corretta e funzionale al risanamento dell’ente, ed oggi la Corte dei Conti su questo aspetto, di fatto, ci dà ragione».

LA DECISIONE PER I CANONI PAGATI A PREZZO SUPERIORE RISPETTO AL PRIMO CONTRATTO

In primo grado erano stati condannati a pagare 31.558,80 euro (Romano) e 511.551,08 euro (Daffinà). Il primo in riferimento ai canoni di locazione pagati e considerati in eccesso rispetto alla prima quotazione contrattuale e il secondo per tre diversi aspetti: canoni di locazione maggiori del dovuto (11.444,44 euro), mancata capitalizzazione dei canoni nella procedura d’acquisto (288.426,68 euro) e sopravvalutazione dell’immobile stesso (211.680 euro).

L’ACCUSA DI AVER PERSO I CANONI DI LOCAZIONE AI FINI DELL’ACQUISTO

Assolti entrambi per quanto riguarda il primo punto, Daffinà incassa eguale giudizio anche per il secondo punto, ossia aver perso i canoni di locazione che per contratto potevano essere scomputati dal prezzo d’acquisto ma che non lo sono stati per aver completato l’acquisto oltre il termine inizialmente fissato di due anni. Per la Corte, dopo una precisa ricostruzione temporale, «nell’acquisto dell’immobile non può farsi ricadere su Daffinà un ritardo dovuto a carenti disponibilità sia dell’Ente che della Regione Calabria», da ciò l’assoluzione «per assenza dell’elemento soggettivo della colpa grave inteso come grave negligenza insussistente nella specie».

L’ACCUSA DI AVER PAGATO UNA SOMMA MAGGIORE PER L’ACQUISTO

Terza accusa riguarda la differenza tra la valutazione dell’immobile da parte dell’Ute in 2.060.000 euro e il prezzo d’acquisto finale pagato dall’ente di 2.300.000 euro. In questo caso, invece, per i giudici contabili Daffinà va condannato in quanto con la decisione di pagare un prezzo maggiore (che non costituisce atto di alta amministrazione e quindi è soggetto al controllo dei giudici), ha «disatteso con colpa grave le regole di condotta, non ancorando la propria attività ai principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa che connotano anche l’Aterp».

GLI SCONTI ALLA CONDANNA DI DAFFINÀ DECISI DALLA CORTE DEI CONTI

Ma per la Corte ci sono delle attenuanti. In primo luogo la responsabilità va condivisa con i vertici della Regione (al tempo Antonio Capristo) per cui il danno che Daffinà deve risarcire va quantificato al 50% del reale per un valore di 151.500 euro. Ma per la Corte una condanna a tale importo sarebbe ingiusta per due ordini di fattori: i vantaggi conseguiti dall’Amministrazione per l’uso del bene e la complessità nella gestione dell’ente. Tenuto conto di questi due fattori la Corte dispone una riduzione del 30% per i benefici ottenuti dall’Ente dall’acquisto, e di un ulteriore 30% per la complessità di gestione, giungendo, infine, a condannare Daffinà a risarcire 70.000 euro oltre interessi legali.

«Anche se sono stato condannato sotto questo aspetto – ha aggiunto Daffinà – cosa per la quale mi riservo di ricorrere in Cassazione, la Corte ha evidenziato, riconoscendo anche una importante riduzione del quantum di condanna, come da tutta l’operazione siano derivati indubbi vantaggi per l’Aterp, questo a dimostrazione di come gli attacchi da me subiti in questi anni fossero tutti strumentali e infondati. Da amministratore ho sempre agito nell’interesse dell’ente che ho amministrato ottenendo anche importanti successi e quanto deciso dalla Corte lo dimostra».

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