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Elsa Tavella con una foto del figlio Francesco Vangeli

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VIBO VALENTIA – Completamente soddisfatta non è, non può esserlo. Perché se da un lato è vero che ha tenuto l’accusa di omicidio, soppressione di cadavere e dell’incendio dell’auto – che confermano sul punto la penale responsabilità dell’imputato – dall’altro è stato acclarato il mancato riconoscimento delle aggravanti del metodo mafioso e della premeditazione a carico di Antonio Prostamo, condannato ieri a 30 anni di reclusione.

Elsa Tavella, madre “coraggio” di Francesco Vangeli ha atteso ieri sera in aula, in Corte d’Assise, a Catanzaro, il pronunciamento della sentenza. Accanto a lei i familiari più stretti che dal quel maledetto 9 ottobre sono entrati in un incubo, in un vortice emozionale in cui convivono rabbia, tristezza, dolore, angoscia e speranza. Quella speranza di rivedere almeno il corpo del suo amato figlio.

«Non posso essere totalmente contenta – commenta a caldo la donna – in quanto volevo che si pronunciasse la sentenza dell’ergastolo in quanto non ci sono dubbi che siano stati loro (i fratelli Prostamo, ndr) ad uccidere e occultare il corpo e questo adesso è acclarato da un secondo pronunciamento di un giudice».

«Tuttavia, nel complesso, può andare bene così» anche se «non è facile affrontare tutto questo – aggiunge – Non è facile stare in un aula di tribunale vedere le persone che hanno fatto del male a tuo figlio ma, vuoi non vuoi, devi affrontarlo; ho fiducia nella giustizia e spero che pian piano ognuno abbia ciò che si merita. Certo, nessuna condanna mi riporta Francesco a casa nessuna e non auguro ad alcuno di salire quelle scale di tribunale, avere il cuore che batte forte, stare ore ed ore ad aspettare una sentenza che sembra non arrivare mai e poi, quando capisci che hai perso un figlio, e nessuno pagherà per quello che hanno fatto, è proprio lì che ti cade il mondo addosso».

Le parole della Tavella si fanno poi più intense: «Uccidere un ragazzo per motivi abbietti non lo accetto e mio figlio aveva il sacro santo diritto di vivere, aveva una vita davanti. Dove è scritto che una madre debba perdere il proprio figlio per una ragazza? Dove è scritto che una madre deve vivere ed essere consapevole che non vedrà più quelli occhi belli e quel viso sorridente del proprio ragazzo? Sinceramente penso che l’ergastolo l’abbiano dato loro a me e alla mia famiglia. Confido nella giustizia tirrena ma soprattutto divina perché il male fatto si paga».

Per la Tavella, in ordine proprio alla sparizione del cadavere, la «pista da continuare a seguire è quella che porta al Fiume Mesima», ossia in piena aderenza con le risultanze investigative. In tutti questi anni, la donna, non si è mai data per vinta e tanti sono stati i suoi appelli per proseguire le ricerche finalizzate al ritrovamento del corpo.

Altri accorati e reiterati appelli sono stati poi rivolti agli imputati e a persone che potrebbero essere a conoscenza dell’accaduto: «Ridatemi ciò che è mio», è la frase che Elsa Tavella pronuncia, quasi come un mantra, nelle varie occasioni, siano esse interviste giornalistiche, convegni e, ovviamente, in occasione delle date che hanno segnato la vita del figlio.

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