X
<
>

Il tribunale di Vibo Valentia

Condividi:
8 minuti per la lettura

Le rivelazioni del pentito Corsini sul traffico internazionale di cocaina con centro a Vibo dove la droga arrivava anche nei preservativi

VIBO VALENTIA – Fiumi di cocaina arrivati nel vibonese dalla Colombia, via nave soprattutto, smistati alle più potenti famiglie di ’ndrangheta del Reggino e non solo, al clan Di Lauro a Scampia.

Un narcotraffico che fruttava milioni e milioni di euro tanto che i soldi – sulla scorta di come usava fare Pablo Escobar che ad un certo punto non sapeva più dove metterli per l’enorme quantità che possedeva – venivano seppelliti nel terreno tra le campagne di San Calogero, feudo dei broker Vincenzo Barbieri e Francesco Ventrici, e base operativa dell’associazione che trattava direttamente con i narcos sudamericani.

Ma la nave non sarebbe stato l’unico mezzo di trasporto della cocaina. Sì, perché ad un certo punto si fece strada il progetto di utilizzare un aereo cargo, addirittura un Antonov, dal quale lanciare la droga nel territorio di San Calogero. Una trovata cinematografica? Non proprio a sentir parlare Giuseppe Corsini, principale collaboratore di giustizia del processo “Adelphi” avente ad oggetto una vasta e lucrosa attività narcotraffico che vede imputati 70 persone, la maggior parte delle quali della provincia di Vibo.

NOMI ECCELLENTI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA COINVOLTI NEL TRAFFICO

Compulsato dalle domande del pm della Dda, Irene Crea, il pentito stamani ha fatto nomi di personaggi eccellenti della criminalità locale, parla delle tratte individuate, delle modalità delle spedizioni, dei viaggi in Colombia dei componenti del sodalizio, il triumvirato Barbieri-Ventrici-Campisi, e dei soldi, tantissimi, che sarebbero finiti nelle tasche dei capi in virtù della vendita di almeno 2 tonnellate, quelle contestate nel procedimento. Carichi da 200, 350 kg e addirittura una tonnellata e 650 kg tutte arrivate a destinazione.

Parlando dal sito riservato al Tribunale collegiale, presieduto dal giudice Tiziana Macrì (a latere Ricotta e Conti), Corsini – che al tempo, tra il 2009-2010, risiedeva ad Alicante, in Spagna – ha iniziato col riferire sulla compravendita di 10 kg di droga arrivati in Spagna, per poi soffermarsi sulle figure  principali del processo evidenziando come Francesco Criaco  in una occasione gli chiese “per conto di Francesco Ventrici, di acquisire contatto per importazione stupefacenti” per poi focalizzare l’attenzione su Vincenzo Barbieri e Domenico Campisi, sulle transazioni partite dalla Colombia. E se Barbieri era contrario ad utilizzare l’aereo preferendo il trasporto via nave perché era ben collaudato, Ventrici, Drommi, Grillo volevano utilizzare  l’altro metodo studiando anche il modo come far arrivare la droga a destinazione, contando sul pilota Kramer.

LA COCAINA ARRIVA A VIBO NASCOSTA ALL’INTERNO DEI PRESERVATIVI

Una quantità enorme di droga, 1.650 kg, puntualmente arrivata a Gioia Tauro, stoccata in un capannone a San Calogero di proprietà di Angelo Mercuri, cognato di Ventrici. Stupefacente che veniva stipato nei barattoli di palmito in ognuno dei quali c’erano 10 preservativi contenenti la cocaina. Il problema però, è che “la qualità non era come quella decantata all’inizio in quanto pura solo al 50% non al 97, e questo perché era stata tagliata prima della partenza.

Questa situazione aveva creato malumori nei destinatari finali – che erano anche di fuori regione – tant’è che gente del clan Di Lauro, aveva intenzione di fare del male a loro. Anche Sebastiano Pelle era insoddisfatto”. In buona sostanza, secondo il collaboratore, Vincenzo Barbieri  trattava prima la droga, quando questa si trovava in Colombia, riuscendo a ricavare una propria consistente quota, circa 400 kg, che finiva per fruttargli 10-12 milioni di euro e tutto questo avveniva “all’insaputa di Ventrici”.

I tre si sarebbero messi d’accordo per venderla a 40mila euro al kg ma “Barbieri non rispettò l’accordo perché la rivendette a meno”. E questo fu uno dei motivi che portò Campisi e Ventrici a distaccarsi dal socio come vedremo in seguito.

NON SOLO PRESERVATIVI, L’OPERAZIONE PER PORTARE LA COCAINA A VIBO

E Campisi, Corsini ha raccontato di averlo incontrato per la prima volta in Calabria al ristorante di Antonio Grillo, “L’orchidea”, a San Calogero, e la seconda al camping Sayonara a Nicotera, e lì lui mi disse che era intenzionato a finanziare un’operazione successiva a quella dei 1,5 kg dell’aereo. Nel ristorante c’erano Michael Kramer, il pilota che doveva guidare l’aereo con cui avrebbe lanciato la droga in volo, Angelo e Annunziato Mercuri, Salvatore Drommi, quest’ultimo per conto di Campisi, e Grillo.

Successivamente il pentito ha ricordato di essere stato condotto nelle campagne del paese dove gli fu manifestata “l’intenzione che venissero sradicati gli alberi di ulivo in moto tale da consentire all’aereo di volare a bassissima quota per effettuare il lancio dello stupefacente. Un’operazione che necessitava anche della presenza di qualcuno che gli segnalasse la pista con dei fuochi”, in perfetto stile “Narcos”. Ma questo progetto non sarebbe andata in porto perché all’ultimo il pilota non si trovò nonostante questo si prese circa un milione di euro, mentre Ventrici ne mise nell’affare il doppio.

FIUMI DI COCAINA IN ARRIVO NELLA PROVINCIA DI VIBO NEI PRESERVATIVI

La seconda volta che Corsini venne nel Vibonese fu in compagnia del messicano Delrio, incontrando Campisi e Ventrici i quali gli riferirono dell’intenzione di staccarsi da Barbieri e avviare un proprio progetto, attivando una propria linea, per far arrivare la droga sempre in nave, ma questa volta al porto di Ancona in quanto era considerato tranquillo e  in più vi era già un capannone disponibile utilizzato per la produzione di tessuti.

Il collaboratore di giustizia ha anche raccontato che Barbieri e Ventrici gli parlarono “di una importazione di oltre una tonnellata di droga, nascosta sempre dentro il palmito, con destinazione La Spezia, e di un’ulteriore, celata in alcuni macchinari, con tappa finale Gioia Tauro”, precisando di non sapere se entrambe furono sequestrate ma di ricordare  “che Ventrici mi disse che era andata male un’operazione grossa, probabilmente la seconda”.

Altro riferimento ha riguardato il sequestro di 1.000 kg sempre al porto di Gioia quando “Ventrici mi raccontò di aver rinchiuso in un container due finanzieri minacciandoli di morte per il fatto che si fosse venuto a sapere del carico e poi perché sospettava che qualcuno si fosse preso lo stupefacente, ma loro risposero che non potevano fare nulla in quanto era intervenuto il Ros di Roma”.

Gli omicidi di Drommi, Barbieri e Campisi

Nelle sue dichiarazioni, Giuseppe Corsini ha fatto anche riferimento ai tre omicidi eccellenti di quel periodo storico (2011): la sparizione di Salvatore Drommi e le uccisioni di Vincenzo Barbieri e Domenico Campisi. “Fu Antonio Grillo a notiziarmi di tutti gli episodi; di Drommi raccontò che fu sciolto nell’acido, poi mi mandò un messaggio dicendomi che “Penna bianca” (come veniva soprannominato Barbieri, ndr) non era più tra noi, e infine mi informò della morte di Campisi”.

E le motivazioni? Sempre secondo li teste, per come “ho avuto modo di capire e per come mi fu detto, Drommi Sparì perché si era creato un problema con i Mancuso prendendo delle decisioni che non doveva prendere, anche se lui lo faceva per la famiglia; barbieri si era creato troppe inimicizie, era evidente che fregava i suoi compaesani, dicendo ad esempio che aveva un “ingresso” a Gioia Tauro che invece non aveva mai avuto”; infine Campisi aveva fatto un po’ di traffici con un messicano che viveva a Valencia all’insaputa evidentemente dei Mancuso. Corsini ha anche parlato del progetto omicidiario ai danni anche di Ventrici che però non andò in porto: “Qualcuno era sceso in Calabria per ucciderlo, ma quando il killer arrivò sotto casa sua, dopo aver visto la telecamera, se ne andò”.

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO ARCANGELO FURFARO

A seguire la deposizione dell’altro pentito, Arcangelo Furfaro, ex componente del clan Piromalli-Molè e collaboratore dal 2015 che si è soffermato sulle figure di Dominic Signoretta e Giuseppe salvatore Mancuso, figlio di Luni detto “L’ingegnere”, riferendo di aver conosciuto il primo nel 2010-2011 a Roma e da quel momento i due intensificarono la conoscenza, andando a vivere nello stesso appartamento, ed avviando “un’attività di traffico di cocaina che arrivava dal Sud America, hashish dal Marocco, ed eroina dall’Albania”; del secondo invece ha raccontato  che soggiornava spesso nella capitale “in quanto veniva a trovare Dominic, prendeva soldi di sua proprietà e io stesso gli ho consegnato più volte di stupefacente, nell’ordine dei 40-50 kg”.

Mentre del padre di quest’ultimo ha affermato di averlo incontrato un paio di volte e in una di queste occasioni, a metà del 2011, in presenza di Signoretta,  2mi ha chiesto se potevo favorirlo in un trasporto di cocaina dal Sud America e che poi sarebbe stata sua premura farla uscire dal porto di Gioia. Una richiesta che non accettai perché i Molè erano, sì, amici con i Mancuso ma non con tutti loro avevano buoni rapporti, e con “Luni” non erano ottimali. Poi, quando usci dal carcere Luigi Mancuso le cose si aggiustarono”.

OMICIDIO CAMPISI, I MOTIVI DELL’UCCISIONE SECONDO FURFARO

Uno dei motivi dell’uccisione, secondo Furfaro, è che la vittima svolgeva dei traffici per proprio conto, al di fuori del contesto dei Mancuso.

«Su Roma avevamo bisogno di droga e tramite Pino Galluccio riuscimmo ad avere un paio di kg da giù ma la qualità non era buona, tant’è che chiesi a Galluccio da chi si fosse rifornito e lui rispose che si trattava di Campisi. Io rimasi colpito perché la qualità che smerciava era buona; ad ogni modo della cosa e ne parlai con Dominic e anche ne fu sorpreso. Poi so che riferì la circostanza a l’“ingegnere” e mi fu detto che non prese di buon grado la cosa e che l’avrebbero sparato”.

Furfaro, prima, ha aggiunto di aver chiamato il figlio di Campisi, Antonio, dicendogli che volevano sparare al padre mettendolo quindi in allarme, dopo di che ha raccontato che un giorno Dominic mi “informò che doveva scendere (in Calabria, ndr)  perché l’aveva chiamato Luni Mancuso, e dopo due giorni apprendiamo alla tv dell’uccisione di Campisi; quando poi rividi Dominic mi fece cenno con le mani che era morto e aggiunse che a commettere il fatto erano stati lui e Peppe Mancuso”.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE