X
<
>

La lettura della sentenza di primo grado del processo Carminius

Condividi:
4 minuti per la lettura

Il clan Bonavota-Arone radicato a Carmagnola, l’esportazione di tradizioni vibonesi come l’Affruntata e l’ordine di collaborazione tra ‘ndrangheta e Cosa nostra impartito da Matteo Messina Denaro, raffica di condanne nella sentenza di appello di Carminius

VIBO VALENTIA – Raffica di condanne anche nel giudizio d’Appello del processo “Carminius”, sulla ’ndrangheta a Carmagnola, nel Torinese, che vedeva imputate anche persone ritenute appartenenti al clan Bonavota di Sant’Onofrio. In tutto 16 condanne emesse dal giudici di secondo grado di Torino (LEGGI LA SENTENZA DI PRIMO GRADO), e tra gli imputati per i quali è stata riconosciuta la responsabilità penale vi è l’ex politico Roberto Rosso, di Fratelli d’Italia. In tutto l’entità delle pene inflitte ammonta a 140 anni di reclusione, oltre a ulteriori risarcimenti danni alle parti civili rispetto a quanto deciso in primo grado.

Operazione carminius contro il clan bonavota-arone: La sentenza d’appello

Tra i condannati dunque i vibonesi Salvatore Arone, 17 anni di reclusione; Francesco Arone, 16 anni e due mesi; Raffaele Arone, 12 anni e otto mesi; Antonino Defina, 12 anni e dieci mesi; Nicola De Fina, 10 anni con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e libertà vigilata per un anno a pena espiata; Domenico Cichello, 1 anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa);  Nazareno Fratea, 10 anni e otto mesi.

Gli altri sono Antonino Buono, 13 anni e sei mesi con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e libertà vigilata per un anno e sei mesi a pena espiata; Angiolino Petullà, 10 anni e quattro mesi; Alessandro Longo, 8 anni e sei mesi, 2.800 euro di multa, con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e libertà vigilata per un anno a pena espiata; Carlo De Bellis, 7 anni e otto mesi; Ivan Corvino, 6 anni e otto mesi; Roberto Rosso, 4 anni e quattro mesi; Enza Colavito, 4 anni; Marco Podda, 1 anno e sei mesi (pena sospesa); Daniele Michele Interrante, 1 anno e tre mesi (pena sospesa). 

LE ASSOLUZIONE E I RISARCIMENTI ALLE PARTI CIVILI

Assolto “per non aver commesso il fatto” Antonino Pilutzu, con revoca delle statuizioni civili nei confronti dello stesso. Inoltre Buono e Nicola De Fina, in primo grado assolti, sono tenuti al risarcimento danni nei confronti delle parti civili – Regione Piemonte, Comune di Carmagnola e l’associazione “Libera” – anche per quanto riguarda il precedente processo. Buono dovrà anche pagare un risarcimento danni all’attuale vicesindaco di Carmagnola, Alessandro Cammarata, per ora quantificato in 5.000 euro (salvo ulteriore decisione del tribunale civile), oltre a 11 mila euro di spese legali relative ai due gradi di giudizio. Infine l’ex onorevole Roberto Rosso è tenuto a pagare 2.800 euro al suo ex partito, Fratelli d’Italia, a risarcimento delle spese processuali di questo grado di giudizio.

Il blitz CARMINIUS del 2019 ALLA BASE DELLA SENTENZA D’APPELLO SUL CLAN BONAVOTA-ARONE

Il blitz della Guardia di Finanza e del ros dei carabinieri era scattato in Piemonte il 18 marzo del 2019. Gli investigatori avevano ricostruito, in particolare, un controllo capillare su un territorio che dal Comune di Carmagnola (Torino) si estendeva anche altrove. Dalle indagini era emersa anche l’esistenza di un sodalizio “allargato”, composto da cosche della ‘ndrangheta – in particolare un ramo dei Bonavota di Sant’Onofrio – operative fra la bassa provincia di Torino e l’alto Cuneese che avevano stretto un patto di alleanza con uomini di Cosa nostra siciliana, attivi a Carmagnola. Obiettivo dell’operazione sarebbe stato anche il sequestro di immobili, società (finanziarie, immobiliari, concessionarie di auto, imprese edili), conti correnti e cassette di sicurezza per un valore complessivo per oltre 45 milioni di euro.

L’Affruntata in Piemonte

Nell’ordinanza si metteva inoltre in risalto come nel popoloso centro dell’Astigiano fossero state importate alcune tradizioni calabresi, su tutte l’Affruntata. Era stato in particolare il pentito Andrea Mantella – che coi Bonavota era legato a doppio filo – a parlarne: «A Carmagnola come in Calabria: si facevano le stesse cose; la famiglia Arone e il clan Bonavota di Sant’Onofrio sono la stessa cosa: stessa fazione, stessa potenza. E guarda caso in questo paese ci sono tradizioni della Calabria, compresa la tradizionale “Affruntata”. E questo perché «i Bonavota sono a Carmagnola e quindi si fa, i Bonavota sono a Toronto e si fa. Guarda caso». Sempre secondo il collaboratore, a Carmagnola il «capo» è Salvatore Arone, che «rappresenta i Bonavota» e che negli ambienti «è rispettato come un santo o un padre Pio».

Salvatore Arone e la collaborazione ‘ndrangheta – Cosa nostra ordinata da Matteo Messina Denaro

A capo del sodalizio criminale ci sarebbe stato Salvatore Arone, vertice dell’omonima famiglia ritenuta proiezione criminale del clan vibonese dei Bonavota in Piemonte. Due entità legate anche da vincoli di parentela essendo l’imputato zio di Pasquale, Domenico, Nicola e Salvatore Bonavota.

Del resto, quando lui si era trasferito a Carmagnola, aveva avuto modo di constatare la «collaborazione» di uomini di cosa nostra è ‘ndrangheta. Di questo accordo tra i capi delle due organizzazioni criminali gli aveva riferito Rocco Zangrà, “responsabile della ‘ndrangheta in Piemonte”, condannato per associazione mafiosa in via definitiva. La circostanza era emersa dalle dichiarazioni Ignazio Zito, collaboratore di giustizia che ha fatto parte di cosa nostra, secondo le quali l’ordine sarebbe partito dal superlatitante Matteo Messina Denaro, nel 2015: «Cosa nostra e ‘ndrangheta dovevano lavorare assieme per diventare un’unica famiglia» (LEGGI).

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE