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Nicola Gratteri, allora procuratore di Catanzaro, presenta l'operazione Maestrale-Carthago

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VIBO VALENTIA – Il 28 gennaio 2022 il pool di investigatori della Dda di Catanzaro con a capo il procuratore Nicola Gratteri va a L’Aquila per una missione è top secret: Pasquale Gallone, braccio destro del boss Luigi Mancuso, aveva manifestato l’intenzione di avviare il proprio percorso di collaborazione con la giustizia. Una circostanza clamorosa, mai emersa pubblicamente. Fino a qualche giorno fa quando a renderla nota in aula è stato il pm della distrettuale antimafia, Annamaria Frustaci nel corso della requisitoria, nel filone in abbreviato, del processo “Maestrale-Carthago” che vede imputate 91 persone ritenute appartenenti alle maggiori locali di ’ndrangheta del Vibonese: Mancuso, Accorinti, Galati, Pititto, Prostamo, Lo Bianco-Barba solo per citarne alcune.

Pasquale Gallone

La Frustaci introduce l’argomento facendo prima riferimento alle dichiarazioni rese dal pentito Pasquale Alessandro Megna sulla possibile collaborazione di Gallone aggiungendo che effettivamente “a un certo punto chiede di parlare con l’Ufficio di Procura, che in modo riservatissimo si reca presso il carcere dell’Aquila, dove l’imputato è ristretto in regime di 41 bis”. Una collaborazione che però, precisa il pm della Dda, quella col braccio destro del boss Mancuso, che sarebbe naufragata, anzi “non è mai partita in verità”, aggiunge. Se fosse andato fino in fondo, Gallone avrebbe rappresentato per gli investigatori una miniera d’oro in quanto la sua posizione posta una spanna sotto il vertice del clan lo portava ad essere a conoscenza dei più importanti e scottanti segreti della consorteria criminale di Limbadi, dei traffici di droga, delle altre attività illecite, dei legami con le altre cosche e, perché no, dei collegamenti con la cosiddetta “zona grigia”. Il motivo della marcia indietro di Gallone non è stato specificato dal pm.

“Mi hanno costretto”

Non solo la Dda: di Gallone si parla anche nelle motivazioni della sentenza d’Appello di “Rinascita-Scott”, dove la Corte mette nero su bianco che nel corso del processo l’imputato ha prodotto una memoria manoscritta contenente dichiarazioni auto ed etero accusatorie coinvolgenti i vertici della cosca, a partire da Luigi Mancuso (analoghe a quella già rese in un interrogatorio di garanzia del 23 agosto 2023 dinnanzi al dinnanzi al Gip di Reggio Calabria in un altro procedimento), indicati quali responsabili dei reati che gli si contestano, e che ha sostenuto di essere stato costretto a commettere a causa del proprio totale assoggettamento ai Mancuso. In conseguenza di tale mutata strategia processuale, l’allora difensore di fiducia, Paride Scinica, aveva chiesto alla Corte di valutare la sopravvenuta incompatibilità (attestata, poi, dai giudici) nella difesa di Gallone rispetto alla posizione dell’altro proprio assistito, Luigi Mancuso, coimputato dei medesimi reati nel troncone ordinario del procedimento penale.

Gli interrogativi sulla vicenda

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Luigi Mancuso

Proseguendo, invece, nell’esposizione dei fatti in udienza in “Maestrale-Carthago”, il rappresentante della pubblica accusa – in riferimento alla posizione dell’avvocato Francesco Sabatino, imputato in questo procedimento con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per aver agevolato, secondo la Dda le consorterie criminali andando oltre il perimetro del mandato difensivo – evidenzia una serie di circostanze. Intanto, ricorda la presenza, appunto, di “un colloquio riservatissimo che nessuno poteva conoscere, in quanto non c’è mai stata una discovery sul punto se non nell’ottobre di quest’anno, quando abbiamo depositato al gip questi elementi sulla scorta di tale dato”. In seguito parla di un errore materiale sulla data del colloquio con Gallone definendo tale frangente “inquietante” allorquando riferisce di una verifica dalla quale emerge che l’imputato era rappresentato e difeso dal penalista in questione: “Nell’informativa del 9 ottobre del 2023 c’è un errore materiale nel fare il copia-incolla evidentemente delle comunicazioni che provenivano dalla Casa circondariale; i carabinieri che hanno redatto l’informativa riportano il colloquio in presenza del 28/04/2022, ma in realtà è del 28/01/2022.

Evidentemente questo “01” è stato letto come “04”, non so quale sia il motivo per cui nella trascrizione hanno effettuato questo errore materiale”. E, aggiunge: “Non c’è ragione che si possa ipotizzare che possa essere uscito in modo diverso questo dato, perché è una attività svolta in massima sicurezza in un carcere con un soggetto sottoposto al regime del 41 bis, che non ha alcuna forma di colloquio se non con i familiari, colloqui registrati, mensili e limitati. Non c’è stata alcuna fuoriuscita di questa informazione” ribadisce in aula avanzando poi una domanda: come poteva pertanto Pasquale Alessandro Megna, che inizia a collaborare con la giustizia il 25 febbraio del 2023, essere a conoscenza per come riportato in un verbale di interrogatorio della potenziale collaborazione di Gallone di un anno prima e depositata agli atti di maestrale nel settembre-ottobre successivo?

Anche Pititto voleva pentirsi?

Ma non solo il braccio destro di Mancuso avrebbe avuto intenzione di parlare con la Dda. Anche Pasquale Pititto, il boss di Mileto, anch’egli al 41 bis, avrebbe maturato analoga decisione per come riferisce in una intercettazione Michele Galati (cl.’80): “Un possibile rischio di pentimento, che sarebbe foriero di una serie di problematiche per la cosca” ma che alla fine non ha avuto seguito. Galati dirà inoltre “che i vertici della cosca gli avevano messo alle calcagna, diciamo così, Sabatino: “Gliel’ha messo uno per non farlo cantare, apposta l’hanno messo, per vedere che se se la canta oppure no”. Una collaborazione, quelladi Pititto, che non si è registrata, così come quella di Gallone e sempre per il pm Frustaci il dato intercettivo “converge verso la circostanza univoca che questa situazione d’interferenza viene, dagli associati alla famiglia Galati nel territorio di Mileto, dagli associati alla famiglia Mancuso nel territorio di Nicotera e Limbadi, attribuita e ascritta allo stesso soggetto che svolge il mandato difensivo e naturalmente ciò ha un riverbero sulla funzionalità dell’associazione e sulla possibilità di preservare da azioni giudiziarie, da attività investigative gli appartenenti alle ‘ndrine”.

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