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Era un bimbo di quattro anni quando nel 1986 arrivò ad Atripalda. Era passato qualche mese dallo scoppio del reattore di Cernobyl in Ucraina – allora ancora nell’Urss – e il rischio di contaminazione era altissimo anche per chi era lontano dalla zona del disastro. Dmytro Kuleba, oggi ministro degli esteri ucraino, viveva a Sumy, ben cinquecento chilometri dalla centrale nucleare. Non era abbastanza, soprattutto per i bimbi. Molti furono trasferiti per qualche mese di vacanza in Europa. A Dmytro toccò la cittadina del Sabato dove fu ospite dalla famiglia Ventre. Fu una bella esperienza che ancora ricorda.

Ieri in una intervista sul Corriere della Sera, il Ministro ha ringraziato: “Mi hanno accolto con amore come fossero i miei genitori”. Parla di Domenico Ventre e della moglie. Ventre all’epoca era il Comandate della Stazione dei Carabinieri di Atripalda. Originario di Francolise, nel Casertano, prestava servizio in Irpinia dall’inizio degli anni ’80. Persona seria, rigorosa, garbata, ben voluto da tutti, con un debole per la tecnologia, non ci aveva pensato due volte quando aveva saputo dall’Ucraina sarebbero venuti dei bambini per mettersi al sicuro dalla nube tossica sfuggita al reattore. Domenico aveva aperto la sua casa a quel bimbo inconsapevole del perché era stato spedito in un luogo così lontano e senza i genitori. Si era trovato bene però con quella sua seconda famiglia. Pure Domenico lo ricorda spesso con affetto postando – già da prima dell’inizio della guerra – sul suo profilo social i video degli interventi pubblici del suo “caro ministro”.

L’ex comandante dell’Arma vive oggi a Novara dove si è trasferito dopo la morte della moglie. Svestita la divisa militare, ha dato libero sfogo alle sue due passioni: la progettazione di dispositivi elettronici per una azienda del posto e la poesia. E’ infatti una autore apprezzato. Alcuni versi scritti un po’ di anni fa sembrano sorprendentemente attuali di fronte alla tragedia della guerra in Ucraina: “ Non vi sono mediatori/ ormai di lor imperi son regi. Han voglia d’essere unici, han voglia di nero fulgente, non di colloquio ma di due soliloqui”.

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