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Il cantante Liberato

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Come un film, ma fuori dal cinema.

Senza un annuncio, ma con una tacita certezza: il 9 maggio è stato tutto un aggiornare pagine, un compulsare siti, un domandare a Youtube. Perché il nove maggio è il giorno di Liberato, il cantante nascosto che rivela Napoli. 

Nove maggio è il titolo del suo primo singolo uscito nel 2017, il 9 maggio dello scorso anno ha sorpreso Napoli cantando inatteso sul lungomare. E nella notte del 9 maggio di quest’anno, quando ormai era già quasi il 10 – nella notte, nel buio – ha caricato su YouTube e Spotify cinque singoli che raccontano una storia. D’amore, ovviamente. Video in sequenza come da abitudine sua e del regista Francesco Lettieri (che secondo molti si nasconde dietro il cappuccio del cantante): una storia dentro la storia che lega testi e immagini in un para racconto complementare alle singole canzoni ma tuttavia slegata da esse. E adesso, finalmente, esce anche un disco: fisico, vendibile. Monetizzabile. Liberato è il titolo del disco, Capri Rendez-vous quello del film che raccorda su YouTube i singoli Guagliò, Oi Marì, Nunn’a voglio ‘ncuntrà, Tu me fare ascì pazz’, Niente. Come sempre, napoletano impastato con frasi in inglese, o con ritmi spagnoli: addirittura spunta il francese, accanto a “piccerè”. Che cosa sia non è facile dirlo. Non è neomelodico. E non è trap, come non si tratta di rap, né semplicemente di dub: è solo un’altra cosa. È lui. 

Come cosa assolutamente altra è Elena Ferrante, l’autrice mai svelata della tetralogia de L’amica Geniale: e gran parte di questo altro, di questo imprendibile altro che entrambi sono, sta proprio nella maschera.

Ed è con loro ‘a città e’ Pulecinell’ ad essere, tutta intera, una maschera: un brand.

La Ferrante sarebbe Gaetano Quagliariello, o Anita Raja, non importa: è una vena aurifera. E Liberato, forse, è un detenuto del carcere minorile di Nisida: lo rivelerebbero le rose che accompagnano i suoi video, rose che richiamano la forma dell’isola per come la si vede dal Parco del Virgiliano. O forse Liberato non esiste -e nemmeno la Ferrante – e a prendere il microfono in mano sotto il cappuccio sono tutti i giovani detenuti a turno, in un progetto di riabilitazione.

Non è mica solo una questione di “sfizio”, o di indagine fine a se stessa: sempre soldi sono. L’aeroporto di Capodichino, per fare un esempio, nell’anno 2017, è quello che in Italia ha registrato la crescita più alta (oltre il 24%): non avranno tutti scelto Napoli per cercare i set, ma è innegabile che i set siano promozione turistica. Ancora una volta, per dirla alla napoletana: la fatica della creatività è fatica, è lavoro, e porta risultati anche in termini economici.

E fatica, lavoro, ha prodotto la serie che Saverio Costanzo ha tratto dai libri di Elena Ferrante: un fenomeno che, complice anche l’hype generato dall’anonimato, ha certamente (e meritoriamente) segnato in positivo le sorti della casa editrice e/o che ha scelto di pubblicarla, e che una volta trasformata in soggetto cinematografico ha incontrato un successo annunciatissimo. 

Ricordiamo, come questo giornale ha già scritto, che nella Regione Campania l’indotto registrato dalla Film Commission ammonta a 43 milioni per il solo 2018, cui va applicato un moltiplicatore pari a 1,5%.

Si parla di “brand Napoli”, ma la capitale borbonica è molto più di un brand. Ed è forse nella Napoli velata  che Ferzan Ozpetek ha portato sul grande schermo, il sunto di questo vezzo del nascondersi.

Non sarà omertà, è ’n ata cos’: Napoli è la sola città in Italia che possa dirsi custode di un’opera dello street Artist anonimo più famoso del mondo. Una Madonna armata di pistola, lasciata da Banksy nel bel mezzo di via dei Tribunali, è oggi custodita sotto una teca, messa lì dal proprietario di una pizzeria. Se esiste un riassunto di Napoli, è questo.

E nella città dove tutto è luce, non c’è nulla che faccia più rumore di un punto d’ombra. E come lo vuoi spiegare, a parole, un popolo che per spiegarsi chiede solo “eccaì”?


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