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Un’immagine della Resistenza italiana durante l’occupazione nazifascista

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Può risuonare da una moschea turca o a Wall Street, tra le macerie di Mosul o tra le brigate curde che hanno liberato Kobane. Ha una versione da “risaia” e una da “montagna”, una con voce narrante femminile ed una maschile. Ha miliardi di visualizzazione su YouTube, milioni di spettatori in streaming l’hanno ascoltata in La casa di carta, non c’è lingua in cui non sia stata cantata, dalla Bolivia alla Bielorussia.

È “Bella Ciao”, un canto che forse, oltre alle analisi e ricostruzioni delle numerose testimonianze di storici, musicisti, giornalisti, leader di fazioni oppresse, in questo documentario di Giulia Giapponesi (Bella Ciao – Per la libertà è una produzione Palomar con Rai Documentari e Luce CineCittà, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection nelle sale l’11, 12 e 13 aprile 2022), dovrebbe essere oggetto dell’esame di un neuroscienziato per capire il segreto del prodigio che trasforma quella manciata di note, incalzate da un ritmo eccitato e disperato, nell’involucro universale del bisogno dell’espressione collettiva di “benessere, guarigione e dolore” che le rendono l’algoritmo planetario della resistenza: in qualsiasi paese, a qualsiasi meridiano, in qualsiasi lingua, sotto qualsiasi oppressore, in qualsiasi montagna sotto la cui coltre riposi qualcuno morto per la libertà, i cui resti nutrono ora luce e colore di un bel fior. Ma questa canzone, che ancora negli anni 60, seminava scandalo al Festival di Spoleto, fu mai davvero cantata durante la lotta di liberazione dall’occupazione nazista e contro il regime fascista?

È l’aspetto più intrigante del documentario che racconta come grandi narratori di quella stagione, come Bocca e Panza, confessino di non averla mai sentita nelle valli dei partigiani (i documenti scritti sono, del resto, radi e ancora poco battuti). Un mistero che allarga il prodigio, ancor più affascinante se pensiamo, come si scopre grazie al documentario, che il celebre riff ha origini klezmer e forse, addirittura, franco normanne, risalenti al tardo medioevo.

Da inno dei partigiani a canzone di lotta delle nuove generazioni di tutto il mondo, hit dei più famosi artisti internazionali e colonna sonora della serie Netflix La casa di carta. A quasi un secolo dalla sua nascita, la forza di “Bella Ciao” non si arresta. Il film racconta i misteri, la genesi e la storia della canzone della Resistenza, che riappare ovunque si combatta contro l’ingiustizia.

Un canto inarrestabile, oggi patrimonio dell’umanità nella lotta per la libertà. Anche se a noi Italiani può sembrare incredibile, oggi una larga parte dei giovani di tutto il mondo conosce “Bella Ciao” solo in quanto colonna sonora della serie spagnola di Netflix La Casa di Carta, che dal 2018 l’ha resa una hit internazionale, oggetto di remix dance e techno e ispirazione per cover di artisti di tutto il mondo. Sotto i video di “Bella Ciao” che si trovano su YouTube, teenager e adulti lasciano ogni giorno commenti in cui dichiarano il loro amore sia per “Bella Ciao” che per la serie TV. A volte, tra questi, si trovano commenti di utenti italiani che lamentano un utilizzo “irrispettoso” del canto dei partigiani, ma anche, al contrario, ringraziamenti a La Casa di Carta per aver reso famosa nel mondo una canzone del nostro Paese.

Ma il suo successo mondiale è davvero merito de La Casa di Carta? L’idea alla base del film nasce dalla necessità di ristabilire il percorso biografico di “Bella Ciao” alla luce del suo essere diventata canzone internazionale. Una necessità che diventa più urgente in questo momento storico di passaggio, dove la Memoria della Seconda Guerra Mondiale – raccontata dalla viva voce di chi ha vissuto l’occupazione nazifascista – lascia il passo alla Storia, intesa come racconto del passato attraverso le fonti documentali.

La biografia di “Bella Ciao” si intreccia dunque alla storia del nostro Paese. Il suo diffondersi inizia durante la guerra, ma soprattutto negli anni del boom economico, quando “Bella Ciao” diviene nota in tutto il mondo grazie ai Festival della Gioventù, raggiungendo quel successo internazionale che oggi tanti attribuiscono erroneamente a Netflix. In questo racconto, accompagnato da materiale d’archivio inedito e da immagini di cronaca dal mondo, la voce delle memorie dei testimoni della Resistenza ancora in vita si confonde con quella degli attivisti che nelle lotte in Cile, Turchia, Iraq e in Kurdistan hanno cantato “Bella Ciao”.

Attraverso vivaci conversazioni con storici (non senza forti contrasti fra loro), musicisti e autori dei nuovi testi della canzone, emerge una grande verità, già espressa da un personaggio del famoso romanzo “Il postino di Neruda”: La poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve. “Bella Ciao” è triste, è allegra e la sua melodia conquista persone lontanissime tra loro sia geograficamente che per età ed estrazione sociale. Il suo messaggio universale di libertà risiede nella sua semplicità e bellezza, una sorta di lasciapassare che le permette di superare barriere culturali e linguistiche. Con un ritmo serrato, la pluralità delle voci e dei punti di vista del film ci racconta che questa canzone, senza autore e senza patria, è oggi patrimonio di tutti coloro che si sentono oppressi e ci ricorda che il più grande omaggio alla memoria della Resistenza è continuare a lottare per la libertà.


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