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Annamaria Colao

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Cattedra Unesco in Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile presso l’Università Federico II di Napoli, la prof.ssa Annamaria Colao ora è anche la prima donna ad essere stata riconosciuta Miglior Neuroendocrinologo d’Europa. Ad assegnarle il premio è stata la Società Europea di Endocrinologia. Il Quotidiano del Sud l’ha intervistata per fare il punto sull’emergenza coronavirus.

Prof.ssa Colao, i contagi calano di giorno in giorno. Possiamo dire che il virus sta svanendo con l’inizio della stagione più calda?
È opportuno avere un cauto ottimismo. Il calo dei contagi è dovuto anche al lockdown. Considerando che l’epidemiologia di questa sindrome prevede almeno 14 giorni di incubazione, per essere certi che il virus davvero risenta delle temperature più elevate, dobbiamo aspettare la prossima settimana.

A proposito di lockdown, a suo avviso attuarlo in modo uniforme in tutto il Paese, è stata la scelta più sensata?
All’inizio non c’era altro da fare. Eravamo alle prese con una sindrome nuova, molto grave da un punto di vista respiratorio, che ha comportato tanti ricoveri in terapia intensiva. Piuttosto, io avrei fatto terminare il lockdown nel Meridione con almeno un paio di settimane d’anticipo rispetto al 4 maggio. Considerando il minor numero di contagi nonché l’economia più fragile al Sud, forse si doveva avere un approccio diversificato su base geografica.

Secondo lei in che modo bisogna organizzare le riaperture in vista dell’estate?
Settori come turismo, cinema e spettacoli stanno soffrendo tantissimo. Sarà difficile per le attività avere un fatturato se dovranno rispettare distanziamenti tra persone di almeno un metro e mezzo nei ristoranti e di quattro sulle spiagge. Bisogna ragionare nei termini di qual è il rischio contagio accettabile. Un compromesso si deve trovare, altrimenti interi settori non potranno riaprire, soprattutto al Sud l’economia è fragile e il rischio è che la crisi uccida più del virus. Dobbiamo quindi convivere con la presenza del virus, almeno fino al vaccino. Abbiamo oggi due vantaggi. Il primo, che esiste un numero di contagiati guariti che costituisce il primo nucleo di immunità; il secondo, i dati medici maggiori rispetto al febbraio scorso.

La soluzione al coronavirus passa anche dalla cura col plasma?
Certo, è una cura nota da oltre 50 anni. Va però spiegato che è efficace a combattere il virus, quindi la prima fase di malattia. E prima di iniettare il plasma iperimmune ad un paziente, il sangue va processato in protocolli precisi e non privi di un costo. Va poi aggiunto che il plasma è pieno di proteine oltre le immunoglobuline, e non è privo di rischi di allergie. Quindi va somministrato sotto stretto controllo medico.

Se è una cura antica, come mai se ne è iniziato a parlare da poche settimane?
Perché all’inizio dell’epidemia era impossibile usare il plasma, non avevamo notizia di casi asintomatici positivi in grado di poter donare il sangue. È importante anche l’uso di immunoglobuline specifiche ricombinanti, ovvero un prodotto puro e specifico.

Se ne sta lavorando?
Immagino di sì. Questa soluzione ha un costo molto elevato, superiore a quello del vaccino. Sbaglia chi pensa che si voglia privilegiare il vaccino al plasma per motivi economici.

L’alimentazione ci aiuta a difenderci dalle infezioni, Clovid compreso?
Non esiste una dieta che combatte il coronavirus. Uno stile di vita corretto aiuta a prevenire qualunque tipo di infezione, perché tiene il nostro sistema immunitario più sveglio.


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