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Indagati monitorati dalla Dda di Milano mentre contano banconote

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Il sistema mafioso lombardo: una “confederazione” tra mafia, ‘ndrangheta e camorra scoperta dall’operazione Hydra, Censiti 21 summit nel Milanese ma secondo il Gip l’infiltrazione mafiosa nell’economia «non è provata»

Un “sistema mafioso lombardo”. Una confederazione orizzontale costituita da esponenti di cosche di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra operante prevalentemente nel Milanese e nel Varesotto. Sarebbe stato un unicum nella storia della criminalità organizzata italiana. Ma il gip distrettuale di Milano Tommaso Perna non ha accolto la tesi della pm Antimafia Alessandra Cerreti e dei carabinieri del Nucleo investigativo di un consorzio tra le mafie. E così, a fronte di 154 richieste di misure cautelari avanzate dalla Dda, il Gip ne ha disposte soltanto undici. Non riconosciuto, inoltre, l’accordo stabile e duraturo tra le compagini criminali.

La pm ha annunciato che impugnerà la decisione del gip, che, nonostante la mole di intercettazioni andate avanti dal 2019, smonta l’impianto accusatorio e non ravvisa intimidazioni né forme di violenza o minaccia nell’infiltrazione nei settori economici di volta in volta oggetto d’interesse degli indagati e ritiene le estorsioni contestate non gravi o indimostrate.

OPERAZIONE HYDRA, ALIAS IL “SISTEMA MAFIOSO LOMBARDO”

L’inchiesta, sfociata nell’operazione denominata “Hydra”, dal mostro mitologico con sette teste che una volta tagliate ricrescono, prende l’avvio dal tentativo di riorganizzazione del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, proiezione al Nord del “locale” di Cirò, si focalizza anche sulle famiglie calabresi degli Iamonte di Melito Porto Salvo e dei Romeo di San Luca, coinvolge le cosche della famiglia palermitana Fidanzati e dei Rinzivillo più il mandamento di Castalvetrano, con i fedelissimi dell’ex boss Matteo Messina Denaro, mentre sul fronte della camorra si incentra sui presunti emissari del clan Senese, radicato in particolare a Roma.

Sette derivazioni criminali e nomi di organizzazioni diverse che nel corso di 21 summit censiti, tra il marzo 2020 e il gennaio 2021, avrebbero creato un’alleanza in cui le singole componenti hanno dato vita a «un’unica associazione, all’interno della quale ciascuna componente mafiosa ha apportato capitali, mezzi (mobili ed immobili), risorse (anche umane), background, reti relazionali e quant’altro» per l’affermazione dell’egemonia nel territorio lombardo.

Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, arrestato nel 2019 nell’operazione Krimisa condotta contro l’articolazione in terra lombarda della cosca Farao Marincola di Cirò, a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda di Milano. De Castro alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Cerreti fa i nomi di Massimo Rosi, arrestato, indicato come il nuovo capo dei cirotani in Lombardia, e Gaetano Cantarella, detto “Tanu ‘u curtu”, dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. A Rosi, 55enne, gli inquirenti hanno attribuito un ruolo centrale nella «creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale».

OPERAZIONE HYDRA, PER IL GIP NON CI SAREBBE UN SISTEMA MAFIOSO LOMBARDO PER COME RICOSTRUITO DAI PM

Ma il gip non ci sta e ritiene, invece, che Rosi abbia agito «soprattutto nel settore del narcotraffico» in qualità di «componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi». La presunta organizzazione criminale avrebbe il suo fulcro nel Milanese nell’imprenditore siciliano Gioacchino Amico, arrestato, mentre nell’area di Cinisello Balsamo, Cambiago, Dairago, Inverno e Busto Garolfo, si sarebbe dotata addirittura di «una rete logistica costituita da uffici commerciali e società, ove si sono svolte riunioni, summit, e dove si è assistito alla programmazione, all’ideazione ed alla direzione di tutte le attività criminose (e non)».

Il gip però smonta la tesi accusatoria della super associazione mafiosa all’ombra del Duomo, che ritiene non provata. Eppure deporrebbero per l’esistenza di un consorzio criminale alcune intercettazioni. Emanuele Gregorini uomo del clan campano-romano diretto da Michele Senese, per esempio afferma: «Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno!». Gregorini, detto Dollarino, ne parlava con Amico, siciliano-lombardo vicino ai Senese e a Cosa nostra palermitana e trapanese, che rispondeva: «Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano, passando dalla Calabria da Napoli ovunque».

PER IL GIP MANCANO LE PROVE ANCHE DELLA “BACINELLA”

Per il gip non è provata neanche la “bacinella”, la cassa comune del clan per il sostentamento dei detenuti. Non è sufficiente che Gregorini ipotizzasse di “stoppare tutti i pagamenti”. Perché «i calabresi o i napoletani o i siciliani, i carcerati vanno mantenuti prima di ogni altra cosa a questo mondo… io passo da Roma, me li lasci a me e te li lascio a te». Una struttura che manteneva contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario, in modo da ottenerne favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti, reti di relazioni. Una struttura, ovviamente criminale, che condizionava il libero esercizio del voto, sempre secondo l’accusa.

Ecco perché Filippo Crea, di Melito Porto Salvo, presunto esponente di un clan costola degli Iamonte, ammetteva: «Abbiamo un bel pacchetto voti, perché posso portare senatori in Europa, miei parenti… poi abbiamo preso un partito, una lista civica… guarda, hanno fatto una lista civica le mie cugine, sono tutte avvocatesse, persone che Inam, Inps…e ti posso dire che… hanno avuto delle problematiche per fare entrare gli infiltrati mafiosi, però, stiamo parlando di persone che hanno 400, 500 voti a testa».

IL PESO ELETTORALE E L’OMBRA DI MATTEO MESSINA DENARO

Spunta anche l’ombra di Matteo Messina Denaro, l’ex super latitante arrestato a Palermo dopo una figa di 30 anni e morto un mese fa. Uno degli indagati di spicco è il parente Errante Parrino, del quale viene documentato un incontro con Antonio Messina detto l’avvocato, uomo vicinissimo all’ex primula rossa che nella gestione degli affari lombardi aveva l’ultima parola. Non a caso uno dei summit si terrà il 2 febbraio 2021 a Campobello di Mazara, a cento metri da uno dei covi di Messina Denaro. Il 2 maggio 2021 i carabinieri di Milano erano a due passi da là per monitorare un incontro tra Amico (arrestato) e Messina (non indagato) e Antonino Galioto per mediare la diatriba tra lo stesso Amico con la famiglia Pace.

I tre si trovavano al bar San Vito di Campobello di Mazzara. Di Castelvetrano sono anche gli imprenditori Rosario e Giovanni Abilone che mettono a disposizione del cartello oltre duecento società, anche estere, per riciclare denaro e accumulare milioni di euro con crediti fittizi. Poi ci sono i fratelli Nicastro, legati alla mafia di Gela, da anni presenti nella zona di Varese, i catanesi della famiglia Mazzei, già collegati alla ‘ndrangheta. In particolare al “locale” di Legnano e Lonate Pozzolo, ricostituito per volere del boss Vincenzo Rispoli, oggi in carcere, e grazie all’opera di Massimo Rosi, indicato come reggente e principale fautore dell’alleanza tra le mafie.


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