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Antonio Panzeri

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C’E’ QUALCOSA di nuovo oggi nel sole/ Anzi di antico, io vivo altrove’’. Il Qatargate mi ha riportato indietro di trent’anni, a quel giorno del 1992 quando, a Milano, il Presidente del Pio Albergo Trivulzio (detto “la Baggina”) il socialista Mario Chiesa fu arrestato perché colto in flagrante mentre intascava una tangente di alcuni milioni di lire da un imprenditore in cambio di un appalto. Fu il blocco di neve che staccandosi e rotolando a valle creò la slavina di Tangentopoli, che travolse i gruppi dirigenti dei partiti che avevano governato il Paese nel Dopoguerra. Allora, Mario Chiesa venne definito da Bettino Craxi un “mariuolo”, come se il suo fosse un caso personale di malaffare. In verità che i partiti vivessero al di sopra dei loro mezzi appariva talmente evidente che il finanziamento illecito era un tema della commedia all’italiana. E non si trattava – come poi venne alla luce – solo di mazzette e di mazzettari , ma di imponenti spartizioni di risorse connesse ad importati operazioni di natura industriale (soprattutto nel settore della chimica).

Ormai è riconosciuto che le inchieste della Procura di Milano e delle altre Procure che ne seguirono l’esempio, presero di mira solo i partiti democratici esentando l’ex Pci. Anzi, Achille Occhetto riuscì, persino, a regolare i conti con l’ala filo socialista del partito, i c.d. miglioristi, quando taluni esponenti di quel gruppo vennero inquisiti dal pool Mani pulite. Ma nel complesso gli ex Pci furono risparmiati, un po’ perché nei confronti dei loro dirigenti non venne applicato il principio del ‘’non potevano non sapere’’, che invece venne ampiamente usato nel caso di Bettino Craxi.

Ma a salvare il vertice di Botteghe Oscure fu, soprattutto, Primo Greganti, il quale, nonostante il carcere, seppe stare alle ‘’regole di ingaggio’’ disposte per quanti, a suprema gloria del partito, erano incaricati, come il compagno G., di trovare finanziamenti illeciti. A loro si chiedeva, se scoperti, di assumersi la responsabilità in proprio e di tacere sempre e comunque, anche quando il partito li abbandonava al loro destino arrivando persino ad infangarli sul piano personale, come prescriveva il copione. E qui sta il grande interrogativo di questi giorni: Antonio Panzeri, nella cui abitazione sono stati trovati sacchi rigonfi di euro e che è al centro del nuovo scandalo che ha investito l’Europarlamento, è un ‘’mariuolo’’ che ha agito in proprio e per sé, magari insieme ad una piccolo combriccola, oppure è colui che tira le fila di un sistema di corruttela per conto di partiti o di correnti? E se è questo il caso, Panzeri – ex Pci-Pds-Ds-Pd – si comporterà come Primo Greganti (Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, A San Vittur a ciapaa i bott, sbattuu de su, sbattuu de giò:mi sont de quei che parlen no!) o vuoterà il sacco?

La vice presidente, la socialista greca Eva Kaili, ha già dichiarato, evocando una figura della mitologia, che non è disposta a pagare per tutti. Il suo compagno, già assistente di Panzeri (quando era eurodeputato per ben tre legislature), pare che sia disposto a collaborare. Intanto i media si sono gettati a corpo morto sullo scandalo cominciando a fare indagini in proprio e a coinvolgere diversi parlamentari per i loro rapporti con gli indagati o per gli interventi svolti in Assemblea a proposito degli argomenti sotto osservazione, tra cui l’organizzazione del Campionato del Mondo di Calcio in Qatar. Un quotidiano ha riprodotto il dibattito che si svolse su questo tema. Il discrimine riguardava il giudizio su quel lontano Paese. Alcuni a partire dall’intervento di apertura della Commissaria, mettevano l’accento sui progressi che erano stati compiuti colà, anche se erano ritenuti insufficienti. Proprio per questi motivi – sostenevano – avere organizzato in Qatar il Campionato avrebbe potuto migliorare ancora di più la situazione dei diritti.

Questa linea era stata sostenuta in particolare da deputati S&D, mentre dagli altri gruppi venivano solo critiche radicali. Peraltro io ho notato che c’era una grande discrepanza riguardante il numero dei morti sul lavoro. Mentre la Commissaria aveva parlato di 50 morti e 500 lavoratori gravemente infortunati, i deputati contrari spendevano apertamente il numero di 6.500 decessi. E’ da queste diverse valutazioni che emergono le prove della corruzione? Coloro che segnalavano i progressi nel campo dei diritti – magari esagerando – erano corrotti dai soldi degli emiri? Occorre prudenza nell’incamminarsi lungo un percorso tanto insidioso, perché si rischia di arrivare a colpevolizzare le opinioni e quindi a sottoporle ad autocensura preventiva. Ugualmente pericoloso è lo starnazzare che viene fatto in Italia da esponenti della sinistra, in particolare di quella formazione di cui Panzeri faceva parte. Alcuni di loro hanno già pronunciato sentenze di condanna, negando (anzi dileggiando) ogni cautela garantista.

Ma l’atteggiamento più discutibile è quello del Pd. Nessun rappresentante di questo partito è (per ora) coinvolto nello scandalo: lo stesso Andrea Cozzolino non è indagato, eppure è già stato ‘’crocefisso in sala mensa’’, sospeso da tutto e per tutto. Dai vertici dem vengono critiche, minacce, furori e caccia alle streghe sotto gli occhi della maggioranza di destra che sta a guardare stupita, accontentandosi dello sfizio di demolire la presunta superiorità morale della sinistra.

Nel dibattito dei talk show quando si parla dello scandalo si arriva subito a coinvolgere il Pd. Ospite di Lilli Gruber, Giovanni Floris, nuovo “difensore della fede” si è lanciato in una sinistra profezia: “Questa (il Qatargate, ndr) rischia di essere la prova definitiva per il Pd, quindi fa bene ad affrontarla in maniera dura e netta”. Tale accanimento suscita legittimi dubbi: al Nazareno conoscono dei risvolti dello scandalo non ancora emersi che coinvolgerebbero il partito? Se non è così perché quel gruppo dirigente – per giunta sotto congresso – si lascia coinvolgere al punto da avvertire l’esigenza di difendersi? Non si sentirà per caso Lord Protettore di Articolo 1? Se invece dovessero emergere nei prossimi giorni dei legami più estesi che svelassero l’esistenza di una rete di finanziamento illecito sarebbe l’attuale linea di condotta a determinare “la prova definitiva”.

Perché non si può essere nello stesso tempo corrotti e giustizialisti. Per concludere un consiglio non richiesto: se i vertici dem non hanno nulla di cui rimproverarsi la strada giusta da seguire è quella che fu indicata da Aldo Moro ai tempi dello scandalo Lockheed. Il leader democristiano si alzò alla Camera e affermò che la Dc non si sarebbe lasciata processare nelle piazze.


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