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Gli stabilimenti dell'Ex Ilva

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DALLE nozze alle carte bollate: sembra avviata su questa strada la “relazione”, già in crisi da tempo, tra Arcelor Mittal, la multinazionale franco indiana che attualmente detiene il 62% dell’Ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, e lo Stato, socio di minoranza, al 38%, attraverso Invitalia, società controllata dal Mef. Ieri durante l’incontro convocato a Palazzo Chigi, la delegazione del governo ha proposto ai vertici di Arcelor Mittal la sottoscrizione di un aumento di capitale che avrebbe portato lo Stato al 66%, con una conseguente discesa al 34% di AM. Ma la multinazionale ha opposto un muro, dichiarandosi indisponibile a nuovi impegni finanziari e di investimento anche come socio di minoranza.

Insomma l’acciaio italiano non è più un buon affare per il colosso siderurgico mondiale. Da qui la decisione del governo, come si legge in una nota di Palazzo Chigi, di delegare a Invitalia l’assunzione “di decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale”. All’incontro, considerato decisivo per il futuro dell’ex Ilva, hanno preso parte i ministri dell’Economia, delle Imprese e del Made in Italy, degli Affari Europei e Sud, e del Lavoro Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e Raffaele Fitto, Elvira Calderone, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, mentre a rappresentare Arcelor Mittal c’era il Ceo Aditya Mittal. Alla riunione anche Bernardo Mattarella, ad di Invitalia, che nei giorni scorsi aveva incontrato Ondra Otradovec, rappresentante di primo piano della multinazionale, per provare ad arrivare a un accordo. Sul tavolo c’era la possibilità di un arretramento della multinazionale e un conseguente avanzamento dell’azionista pubblico fino al 60% attraverso la conversione in azioni dei 680 milioni erogati mesi fa grazie al decreto legge del 5 gennaio del 2023. La sottoscrizione di un aumento di capitale pari a 320 milioni avrebbe consentito allo Stato di arrivare al 66%, immettendo la liquidità necessari a garantire la continuità produttiva.

Una soluzione auspicata anche dai sindacati, sfumata davanti al no dei Arcelor Mittal che ha messo ben in chiaro di non aver alcuna intenzione di investire nel futuro dell’ex Ilva, sottolineando di aver già investito 2 miliardi. Ma Acciaierie d’Italia ha bisogno di almeno altri 1,3 miliardi per acquistare entro la scadenza di maggio gli impianti ancora di proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria e oggi in affitto. Condizione per permettere l’accesso al credito bancario e garantirsi quindi la sopravvivenza. «Nei matrimoni si sta insieme nella buona e nella cattiva sorte perché ora nella cattiva sorte non volete investire?», avrebbe detto Giorgetti rivolgendosi al socio indiano. Mittal ha chiesto anche tutele per i suoi amministratori in caso di cambiamento della governance, oltre che il rientro degli investimenti fatti.

Il “Monsoon Wedding” (“Il matrimonio indiano”) – prendendo in prestito il titolo della pellicola vincitrice del Leone d’Oro per il miglior film alla 58ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – sembra quindi destinato a finire per le via legali. Si arriverà alla richiesta di amministrazione controllata e nel frattempo si cercherà un nuovo socio privato. E’ saltato intanto l’incontro tra il governo e i sindacati che avrebbe dovuto seguire la chiusura del tavolo con la multinazionale, rinviato a giovedì pomeriggio. «L’indisponibilità di Mittal, manifestata oggi nell’incontro con il governo, è gravissima, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano ormai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese», hanno affermato Fim Fiom e Uil in una nota unitaria, commentando l’esito della riunione che, hanno sostenuto, conferma quanto i sindacati hanno denunciato e per cui hanno mobilitato i lavoratori «la necessità di un controllo pubblico e la mancanza di volontà del socio privato di voler investire risorse sul futuro dell’ex Ilva». E dall’incontro di giovedì con l’esecutivo i sindacati si aspettano «una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale».

«Oggi (ieri, ndr) Palazzo Chigi giocava una delle più grandi e più importanti partite per la siderurgia e per l’intera industria italiana, che riguarda e coinvolge circa ventimila lavoratori. Ora la questione si mette tutta in salita», ha affermato Antonio Spera, segretario nazionale Ugl Metalmeccanici. Dall’opposizione Antonio Missioni, responsabile economico della segreteria nazionale del Pd, e Ubaldo Pagano, capogruppo in commissione bilancio della Camera, hanno sostenuto che la via «imboccato in extremis” dal governo è «l’unica realisticamente praticabile, che il Pd aveva indicato da tempo». «Il muro da parte di Mittal nei confronti di questa ipotesi è inaccettabile e irresponsabile – hanno continuato -. Il governo vada avanti. Come Pd collaboreremo in tutte le sedi per salvare l’azienda, che ha una valenza strategica per il Paese, difendere l’occupazione diretta e l’indotto e garantire il processo di decarbonizzazione per la tutela della salute e dell’ambiente».

Per la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva, l’esecutivo «brancola nel buio». Poi ha avvertito: «Se questa soluzione permetterà di avere il tempo di mettere in campo investitori veri e un piano industriale e finanziario all’altezza, può essere la boccata d’ossigeno che serve. Ma se il governo non ha idee, strategie, piani e investitori, si tratterà dell’ennesimo specchietto per le allodole». Sul tappeto restano anche tante altre questioni, tra un indotto in sofferenza per il mancato saldo delle fatture, la scadenza del 10 gennaio quando ci sarà la decisione della giustizia amministrativa sulla fornitura di ultima istanza di gas nei confronti dello stabilimento. E un rinnovato allarme ambientale: stando ai dati della centralina Arpa, nel quartiere Tamburi di Taranto, che sorge intorno allo stabilimento, nel 2023 sono aumentate polveri sottili e benzene.


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