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Stellantis e i piani di Tavares, in corteo i segretari generali dei sindacati e i leader dei partiti: «Serve rilanciare le politiche industriali». Il governo: «Ci muoveremo subito per convincere l’azienda che l’Italia è il luogo migliore dove investire»
È un fiume in piena che da piazza Barberini si snoda per le strade della capitale con un obiettivo: salvaguardare i livelli occupazionali della Stellantis, chiedendo anche di rilanciare il settore automotive in Italia. Sono in ventimila, forse anche più. Sotto le bandiere bagnate da una pioggia insistente sfilano lavoratori degli stabilimenti Stellantis impegnati in tutti i siti italiani, da Nord a Sud, delegati sindacali con i segretari, forze politiche di tutti i partiti con i loro leader, di maggioranza e di opposizione.
Bella a vedersi questa unità di popolo dopo tanto tempo di disunità e ritrovarsi all’insegna di un obiettivo che riguarda la difesa del Paese e, soprattutto, del lavoro. Interessante andare oltre lo stesso sciopero e ragionare politicamente sulla possibilità del ritrovarsi nel campo largo. Il lavoro non si tocca, lo si difende a muso duro. Urlano: «Cambiamo marcia, acceleriamo verso il futuro più giusto». Come dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini nel giorno dello sciopero unitario promosso con Cisl e Uil: «Noi non vogliamo stare a guardare. Serve un rilancio delle politiche industriali. Il governo convochi le parti sociali, Stellantis e le aziende della componentistica a Palazzo Chigi, perché c’è bisogno di un piano strategico complessivo in Italia e in Europa».
LE REAZIONI POLITICHE
«Condividiamo le ragioni di questo sciopero unitario, c’è molta preoccupazione sul futuro di un settore strategico come l’automotive, chiediamo degli impegni chiari e concreti al governo e alle aziende» afferma Elly Schlein, segretaria del Pd.
«Non siamo soddisfatti di quanto uscito dall’audizione dell’ad di Stellantis, né di quanto è uscito qualche giorno dopo quando hanno cominciato a parlare di licenziamenti – continua la leader dem – Serve garantire il futuro di questo settore, la continuità occupazionale, riportare produzioni in Italia e ricominciare a investire in ricerca e sviluppo. Servono fondi concreti che possano accompagnare i lavoratori nei grandi cambiamenti che stanno stravolgendo il settore».
«Noi ci siamo e ci saremo – aggiunge Schlein – Abbiamo depositato una mozione unitaria con le altre opposizioni, chiedendo che sia audito anche Elkann, l’azienda ha delle responsabilità storiche verso questo Paese e deve fare la sua parte fino in fondo. Ma abbiamo pure criticato i ritardi e le timidezze di questo governo, che deve fare molto di più» sottolinea la segretaria del Pd.
«Credo – afferma il presidente M5S Giuseppe Conte – che sia assolutamente necessario che il governo prenda in mano questa situazione, chiami Stellantis a chiarire bene le strategie imprenditoriali per l’Italia. Quello che abbiamo capito ascoltando Tavares e incalzandolo quando è venuto in Commissione, è che non hanno assolutamente nessun progetto per l’Italia, non hanno nessuna idea chiara che non siano incentivi da parte dello Stato».
STELLANTIS E PIANI TAVARES, UN CORO UNANIME: “SCENDA IN CAMPO IL GOVERNO”
Le dichiarazioni sono tante e hanno lo stesso linguaggio: il governo scenda in campo. La risposta del governo viene subito con il ministro delle Imprese Adolfo Urso. «Io rispetto molto le forze sindacali che oggi stanno manifestando, rispetto molto le indicazioni del Parlamento e per questo la convocazione la farò domani».
E aggiunge: «Oggi tocca a loro parlare e lo stanno facendo credo nel migliore di modi: uno sciopero unitario, a testa alta. Siamo convinti di avere dietro di noi, o meglio, di avere con noi l’intero sistema Italia, da domani ci muoveremo con l’azienda per convincerla che qui è il luogo migliore dove investire: dove è nata l’auto, dove con l’auto è nata l’industria italiana, dove con l’auto è nato l’orgoglio del Made in Italy».
A piazza ormai vuota si contano le adesioni allo sciopero: il 100% alla Lear di Grugliasco, alla Industria Italiana Autobus di Bologna e Flumeri (Avellino), alla Marelli di Caivano (Napoli), alla Maserati di Modena, negli stabilimenti Stellantis di Melfi e di Pratola Serra; il 95% allo stabilimento Stellantis di Pomigliano e alla Dumarey di Pisa; oltre il 90% alla Tiberina; il 90% allo stabilimento Stellantis di Cassino e alla Marelli di Bologna; l’85% allo stabilimento Stellantis di Mirafiori; l’80% alla Bosch di Bari; il 75% alla Denso di Chieti; il 70% alla Marelli di Sulmona e alla Trigano di Siena. Infine, il 66% alla VM di Cento e il 63% allo stabilimento Stellantis di Verrone.
Un vero e importante successo. Ma come si è giunti, e perché, allo sciopero generale?
I RETROSCENA
Scontro duro con, da una parte, Carlos Tavares, manager di Stellantis, holding che rappresenta numerosi marchi dell’industria automobilistica, internazionali e nazionali italiani, dall’altra i sindacati e le forze politiche e sociali. Materia del contendere, il rilancio del gruppo che ha sede in Olanda e che in Italia può contare su numerosi stabilimenti tra Nord e Mezzogiorno.
LE PAROLE DI TAVARES E I PIANI PER STELLANTIS
Ad accelerare i tempi della vertenza era stato proprio Tavares che giorni fa, in audizione in Parlamento, aveva usato parole non convincenti, pur sostenendo l’intenzione del gruppo di non abbandonare l’Italia.
«Abbiamo un piano – aveva detto – per tutti i siti produttivi in Italia». Linguaggio subitosuperato da altre affermazioni con cui lo stesso Tavares consegnava la crisi dell’automotive. In sostanza il Ceo esprimeva grande preoccupazione per il fatto che produrre veicoli in Italia, con le regole Ue sulla transizione all’elettrico, «ha costi troppo alti, il 40 per cento in più di quelli che devono sostenere i nostri concorrenti». Come uscire da questa situazione?
Per Tavares la strada percorribile è quella che lo Stato, cioè il governo, si impegni a «concedere notevoli incentivi». Netta era stata la risposta del ministro per le Imprese, Adolfo Urso, ribadendo che da tempo il governo «stava lavorando per una seconda casa automobilistica intenzionata a produrre in Italia, per favorire la concorrenza». Da indiscrezioni era corsa voce che i cinesi sarebbero stati interessati a produrre in Italia. Voce che sinora non è stata smentita.
La richiesta di incentivi da parte di Tavares ha determinato un’alzata di scudi da parte dei sindacati, che hanno definito provocatoria l’idea dell’amministratore del gruppo.
Nel dibattito si è inserito anche John Elkann, presidente del gruppo: «Con le polemiche strumentali, i rancori, i protagonismi non si risolve niente, non si costruisce nulla».
Dichiarazione contestata dalle forze politiche che hanno chiesto ufficialmente che Elkann sia convocato dalla commissione parlamentare per chiarire meglio la sua idea sulla crisi del settore.
AUTOMOTIVE IN CRISI
Certo è che l’automotive non è solo in crisi in Italia. Il settore contribuisce per circa 460 miliardi di euro al Pil europeo e impiega 4 milioni di lavoratori nel continente.
Per la prima volta nella storia della Germania si discute della possibilità di chiudere uno stabilimento della Volkswagen, così come non vanno meglio le cose in Belgio con i siti Audi. La prospettiva è che in questa tempesta si rischierebbero tagli dei lavoratori tra i 15mila e i 30mila. Ora l’ultima parola passa al governo, che dovrà garantire il rilancio dell’automotive in Italia e difendere i posti di lavoro.
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