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Il nostro è l’unico Paese che ha chiuso le poche centrali nucleari che aveva

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Senza il nucleare non ce la faremo mai, perché è l’unica fonte che dà alta intensità energetica senza emissioni di CO2

LA PRIMA Cop, conference of the parties, conferenza delle parti, ovvero di tutti i paesi, si tenne nel 1995 a Berlino, ma venivamo dal vertice planetario di Rio de Janeiro del 1992, dove si posero i primi mattoni dell’intera politica ONU sui cambiamenti climatici. Sono passati 31 anni da allora, ma le emissioni di CO2 di origine antropica non accennano a diminuire, perché di alternative alle fonti fossili non ce ne sono. Quello che fa l’accordo è, invece, ribadire che la loro riduzione è possibile come che quasi mezzo secolo di tentativi, per lo più infruttuosi, non ci insegnino nulla. Bastano 6 ore di illuminazione del sole sulla terra per coprire la domanda di energia di un anno dell’intera umanità.

Se fosse così facile, come qualcuno racconta, catturarla, immagazzinarla, distribuirla questa energia lo avremmo già fatto da tempo. Chi lo ha fatto molto bene sono il petrolio, il gas e il carbone, materiale organico derivante dalla fotosintesi, stoccato nel sottosuolo per milioni di anni e trasformato in fonti energetiche che ci danno un regalo straordinario, una grande quantità di energia.

Ma davvero abbiamo bisogno dell’ecologismo per raccontarci che i fossili sono sporchi, cattivi e che causano guerre. Esattamente 50 anni fa, la guerra dello Yom Kippur, tristemente tornata agli onori della cronaca in questi giorni, innescò il primo shock petrolifero che colpì pesantemente tutto l’occidente. Allora sembrava che gli ambientalisti avessero ragione circa la fine imminente delle riserve di petrolio e l’annuncio del grande futuro del sole che ride. Nixon, aiutato da Kissinger, disegnò il piano “Oil Independence” entro il 1980, indipendenza che hanno raggiunto 40 anni dopo, ma grazie alla produzione interna dei petroliferi. Tutto il mondo occidentale allora si attivò per affrancarsi dal petrolio, ma il risultato oggi è che siamo dipendenti dal petrolio ancora per il 97% nel settore dei trasporti, quello che risponde alla domanda di mobilità, uno dei bisogni fondamentali dell’uomo. I consumi globali di petrolio sono passati nel frattempo da 63 milioni barili al giorno del 1973 ai 102 di quest’anno e mai come ora si intravede abbondanza di riserve. Le rinnovabili nuove, il sole che ride e i mulini a vento, a livello globale contano per il 3% del totale della domanda, nonostante sussidi enormi e nonostante una caduta dei costi ottenuta solo grazie alla Cina, che, però, usa molto carbone per fare l’elettricità delle sue fabbriche di pannelli e di pale.

L’accordo della Cop 28 mira a triplicare le rinnovabili, cosa che in Europa stiamo cercando di fare da anni, ma se a livello globale passiamo dal 3 al 9%, e sarà già un grande risultato, ciò non cambierà molto la sostanza. Positivo è stato l’allargamento al nucleare, ma anche qui i problemi non sono meno, perché in occidente di centrali non se ne costruiscono più, o meglio, quelle che sono in costruzione hanno immani problemi, una in Francia, una in Inghilterra e un’altra in Finlandia, appena partita. Ma senza il nucleare non ce la faremo mai, perché è l’unica fonte che dà alta intensità energetica senza emissioni di CO2.

Nel mondo di centrali in funzione ce ne sono oltre 400, di cui 56 nella nostra vicina Francia, che da 30 anni ci manda parecchia elettricità, prodotta appunto da nucleare. In costruzione ce ne sono 50, quasi tutte fuori dalle democrazie occidentali, perché qui la gente non le vuole. Il caso più emblematico è il nostro, il paese di Enrico Fermi, colui che ha inventato lo sfruttamento civile della bomba nucleare, l’unico paese che ha chiuso le centrali, poche, che aveva e l’unico che ancora non ha un deposito per le scorie, a 36 anni dalla chiusura degli impianti. Per chi vuole respirare questo paradosso, è caldamente consigliabile la visita al museo storico della fisica che si trova a Roma, all’interno del ministero dell’interno, al Viminale, affacciato sulla famosa via Panisperna. Una suggestione da vivere prima di parlare di nucleare.


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