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L’ultimo gioco di società è la legge elettorale. Serve a tutto meno che a curare la malattia che è quella di impedire agli italiani di scegliere chi li deve rappresentare nel loro collegio. Si fanno giri lunghi, larghi, di traverso, ma alla fine è il solito caminetto dei partiti a dire chi si candida e non si forma una classe dirigente politica legata ai territori con la fiducia della sua comunità. Siamo arrivati alla degenerazione della piattaforma Rousseau dove candidature e territori si incrociano come al bancolotto e meno capisce il sorteggiato meglio è, perché eseguirà meglio gli ordini. Siamo al teatro permanente italiano dove l’insipienza e la propaganda sono diventate il marchio di fabbrica dell’azione di governo e del dibattito politico.

Impossibile pretendere che, in questo bailamme, qualcuno si ricordi di chi ha spezzato l’Italia e ne ha anche menato vanto. Più o meno così: non c’è mercato sotto Salerno, che volete? Negli ultimi quindici anni per il piano di Alta Velocità le Ferrovie dello Stato italiano hanno speso 52,7 miliardi al Nord e 11 al Sud. Ogni venti minuti c’è un treno veloce tra Milano e Torino e nemmeno uno a settimana tra Napoli e Bari o tra Napoli/Reggio Calabria/Palermo. Girano tutti il mondo senza accorgersi che i grandi investitori globali hanno scritto a Bruxelles che l’Italia è “zona infetta” in quanto viola i principi di uno Stato di diritto moderno e “gioca” con le tasse, figuriamoci se possono meditare e, addirittura, agire contro il più miope degli atti di politica economica del Paese. Che è stato quello di azzerare, sì avete capito bene, azzerare (0,15% del Pil!) la spesa per infrastrutture di sviluppo nelle regioni meridionali privando l’economia italiana del suo mercato potenziale di crescita che vale venti milioni di persone e oltre il 40% del territorio. Oggi l’export registra una caduta del 4,2%, per avere un dato così brutto bisogna tornare al giugno del 2011, e una persona di valore come Patrizio Bianchi parla della ennesima spia rossa che deve spingere a un progetto italiano di nuova infrastrutturazione che parta dal Sud. Si sono teorizzate le magnifiche gesta delle imprese emiliano-venete-lombarde tutt’uno con l’economia renana, ma la crisi tedesca le ha brutalmente degradate a appendice meridionale di un gigante afflitto da fragilità senile. Ora vorrebbero vendere nel Sud Italia ma sono costrette a fare i conti con la miopia loro e degli amici loro. Quelli che con le tasche piene di soldi non loro ma di tutti gli italiani si permettevano di dire che sotto Salerno non c’era mercato. Ai pagliacci di ieri rimugina la coscienza ma a quelli che hanno preso il loro posto un governo che si rispetti manda un fax che ricorda che sono 100% Stato non Reggio Emilia o Torino e ordina di aprire i cantieri al Sud e fare le opere a passo di record. Perché i cittadini ricchi e i cittadini poveri del Mezzogiorno pagano le tasse esattamente come quelli del Nord. Perché solo così l’Italia può ripartire.


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