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PER la prima volta non si mette insieme una cosa buona e una cosa marcia. Mettiamo insieme due cose buone e viene fuori un bestione
bancario che vale come impieghi circa il 25% del prodotto interno lordo italiano, 450 miliardi. Intesa San Paolo e Ubi messe insieme hanno 1,1 trilioni di risparmi in gestione, e cioè mille e cento miliardi, un valore che è pari a oltre la metà della ricchezza prodotta dall’intero Paese. Forse, così, abbiamo capito di che cosa stiamo parlando. Siamo alla grande banca del Paese che gioca alla pari con le grandi banche europee, siamo in terza o in settima posizione a seconda delle graduatorie europee, ma ci siamo con la forza italiana del suo player più globalizzato. Che deve giocare e vincere nel suo Mezzogiorno la partita più delicata. Questo, per noi, è il punto dirimente.

La scommessa di Messina sull’Italia era nota, come quella (sua) cultura di mercato che non guarda solo all’oggi ma molto più in là. Adesso si coglie la determinazione del progetto sistemico, si afferrano la dimensione globale e la forza interna del disegno strategico. Qualcosa che è merce rara, in questo Paese, ma che proprio per questo merita di essere sottolineata anche perché l’operazione si fa carta su carta e il mercato quasi non fa prezzo dall’euforia per la preda ma loda in modo significativo anche il predatore. A dimostrazione che quando si ha in testa un disegno di lungo termine fondato su pilastri solidi il mercato ha le antenne giuste per capirlo.

A chi sottolinea maliziosamente che cresce l’esposizione del nostro gigante bancario su crediti e Btp italiani, bisogna rispondere con il disegno industriale che è alla base di quello che si è fatto fino a oggi e si farà in futuro, alla diversificazione del business, alla crescita interna esponenziale nel ramo assicurativo, alla forza d’urto del risparmio italiano dei ricchi protetto dopo che quello sempre lombardo-veneto di Pioneer è stato generosamente regalato dall’Unicredit di Mustier ai francesi di Amundi. La risposta verrà dal campo da gioco perché il nuovo giocatore lì dovrà fare goal e l’utile sarà l’indicatore che lo misurerà.

Se guardiamo l’azionariato del bestione abbiamo tutte le targhe del Grande Nord perché a Torino e Milano si aggiungono ora Bergamo, Brescia, Cuneo, e c’è tutta la forza di fuoco del Lombardo-Veneto e del Piemonte sabaudo. Siamo alla Compagnia di San Paolo e alla Fondazione Cariplo, che è di certo meglio della eclissi delle fondazioni bancarie italiane dalla compagine azionaria di Unicredit. Siamo, appunto, alle grandi banche europee che sono anche campioni nazionali, tutte così, nel Club ristretto.

E ci siamo faccia a faccia con le spagnole Santander e BBVA, le francesi BNP Paribas, Credit Agricole, Société Generale, la tedesca Deutsche Bank, la belga KBC e l’olandese ABM AMRO, a cui aggiungiamo Unicredit che, come dice Patrizio Bianchi, fatico a dire italiana. Siamo quindi in una situazione tipicamente europea in cui ognuno proclama l’unità dell’Europa, ma ognuno ha continuato a giocare una partita nazionale, in cui ognuno ha costruito il suo campione nazionale per contare di più sul piano internazionale. E qui viene il punto per noi dirimente.

Questo campione nazionale conterà in Europa se giocherà e vincerà la sua partita nel Mezzogiorno d’Italia e, cioè, nell’unico territorio dove esiste il più forte potenziale di crescita e senza il quale l’Italia la crescita, quella vera, la può immaginare solo a parole o con il binocolo. Abbiamo troppa stima di Messina per dubitare che non lo farà, ma sappiamo che le sensibilità diffuse e gli interessi pesanti premono da un’altra parte. Questa visione miope è quella che consente di fare spesa sociale dando a ogni abitante dell’Emilia-Romagna tre volte di più di quanto si dà a ogni abitante della Calabria.

La stessa logica che fa investimenti sulla rete ferroviaria dell’alta velocità isolando venti milioni di persone, privando l’Italia intera del suo più importante mercato di consumi interno e di una prospettiva di sviluppo duratura che restituisca al Paese il ruolo che gli spetta nel Mediterraneo. Il gigante europeo del credito italiano deve avere le gambe ben piantate sul territorio meridionale diventando il partner finanziario dei grandi investimenti infrastrutturali per farli subito e farli bene. Deve affidarsi per il credito a breve e a medio termine a una squadra di uomini capaci di guardare negli occhi gli imprenditori perché conoscono loro e i loro territori.

Il Paese per rialzare la testa deve ricordarsi di chi ha dimenticato per venti anni di seguito e deve farlo anche nell’interesse di chi ha teorizzato un disegno di integrazione tra Nord Italia e Nord Europa che si è rivelato con il fiato corto. Il campione europeo del credito italiano può essere rispettato in Europa perché ha alle spalle una dimensione nazionale che lo fa dialogare alla pari non da subfornitore con i grandi tedeschi e francesi. L’economia italiana può tornare a dire la sua nel mondo se unifica il Paese in termini industriali e infrastrutturali. Questa è la grande partita della grande banca italiana. Guai se dovesse dimenticarselo anche un solo giorno.


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