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Bisogna accelerare sugli investimenti pubblici e sul sostegno a quelli privati. La chiave è la manovra da 20 miliardi del Repower eu del nuovo Pnrr di cui è in arrivo il decreto e si stanno facendo le cose con cura. Poi non si deve fare cadere la fiducia, altrimenti si comprimono i consumi. Siamo sul filo e è un attimo a dire che è tornata l’Italietta di prima del governo Draghi con 7 punti di debito/Pil in più post Covid mentre Grecia, Spagna e Portogallo scendono alla grande. A quel punto, avremmo un problema con i mercati e sarà solo nostro. Questi interventi drastici vanno fatti ora, non domani.

La revisione operata dalla Commissione europea della crescita del Pil italiano allo 0,7% contro lo 0,9% previsto per il 2024 dal nostro governo va combinata con l’altra notizia di giornata che è una previsione in forte caduta della nostra inflazione fino alla soglia del 2%, che è peraltro il target europeo della Bce per uscire dalla politica degli alti tassi, conseguita già nel 2024 contro quella del 2,7% stimata in precedenza dal governo. All’apparenza appaiono confortanti una crescita sostanzialmente in linea con quella dell’eurozona (0,8%) perché siamo sotto solo di uno 0,1% dopo quattro anni di record italiano di crescita e un’infla – zione che abbassa i prezzi per i consumatori in modo più marcato che per gli altri Paesi europei e fa anche meglio delle nostre previsioni.

Purtroppo, questo sfugge a molti osservatori, un quadro reale italiano per il 2024 che si conferma di bassa crescita e di bassa inflazione interviene in un assetto economico del Paese gravato da un maxidebito pubblico che noi prevediamo in discesa dello 0,1%, quindi praticamente stabile, e che la Commissione europea teme invece che addirittura risalga. Diciamo le cose come stanno. Con l’ultimo trimestre del 2023 si è esaurita l’eredità statistica del governo Draghi sulla crescita italiana che arriva a regalare per il 2024 uno striminzito 0,1% di Pil. Ovviamente la Commissione europea non parla di manovra correttiva per l’Italia e sottolinea giustamente l’importanza fondamentale degli investimenti messi a terra del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) nel secondo semestre dell’anno per sostenere la crescita italiana con i fondi europei così copiosamente elargiti al nostro Paese, ma è evidente a tutti che prende corpo il problema dei conti pubblici italiani che cominciano a non andare più nella direzione giusta.

Perché il doppio dato congiunto di bassa crescita e di bassa inflazione disegna uno scenario preoccupante dove non si delinea più la fine della discesa del debito, dato comunque non positivo, ma addirittura si profila l’inizio della risalita del debito pubblico italiano. Che sta diventando il più grande dell’eurozona perché, in rapporto al Pil, perfino la Grecia scende di cinque punti all’anno mentre noi con questi dati saremmo costretti ad alzare bandiera bianca e a farlo salire. Per capirci, nel 2024 cominciamo ad avere dopo quattro anni di vento in poppa un problema reale di prospettiva non solo e non tanto per il nuovo patto di stabilità europeo e per tutte le complicazioni del caso, ma piuttosto nel rapporto con i mercati perché abbiamo il debito che risale nell’anno in cui lo Stato della Repubblica italiana deve eguagliare il suo record di emissioni di titoli pubblici intorno ai 500 miliardi con scadenze di breve, medio e lungo termine.

Un calo così brusco dell’inflazione non è una buona notizia per chi gestisce la vendita dei titoli pubblici italiani perché si accompagna a un rallentamento della crescita, a un aumento del fabbisogno e della gobba delle scadenze. Tutto questo avviene peraltro in un anno in cui l’eurosistema non è più l’acquirente di titoli italiani di una volta. Certo si può sempre dire che tutto sommato abbiamo una crescita che è di pochissimo sotto la media europea e che la Germania cresce solo dello 0,3% dopo avere previsto di crescere dell’’1,6% e facendo quindi l’ennesima bruttissima figura. Purtroppo, anche qui, l’economia non è come il campionato di calcio perché se noi facciamo lo 0,7% e la Germania lo 0,3% è ovvio che abbiamo vinto la partita, ma è ancora una brutta notizia per noi perché il mercato tedesco è da sempre una grande domanda interna per le esportazioni italiane.

Per cui è bene prendere subito atto che l’anno inizia male e fare tutto quello che dobbiamo fare per invertire la rotta agendo sugli investimenti, facendo le riforme e preservando la fiducia dei consumatori. Bisogna almeno che sia chiaro che partiamo con quattro macigni che gravano sul nostro debito. Il primo è la fine del rimbalzone post pandemico che è stata vera supercrescita ed ora si traduce in una previsione di crescita che è più bassa della media dell’eurozona e si confronta con il +0,9% della Francia e il +1,7% della Spagna.

Il secondo macigno è il calo più drastico del previsto dell’inflazione che non aiuta il lavoro di chi colloca i nostri titoli. Il terzo è l’aumento obbligato a livello record delle nuove emissioni. Il quarto è che tutto ciò avviene quando l’eurosistema non acquista più i titoli pubblici e rallenta anche i riacquisti di quelli in scadenza costringendo l’Italia ad aumentare il ricorso al mercato. Bisogna fare di tutto accelerando come i pazzi sugli investimenti pubblici e sul sostegno agli investimenti privati.

Diciamo che la chiave di tutto, per entrambi, è nella vera manovra da 20 miliardi del Repower Eu del nuovo Pnrr di cui è in arrivo il decreto e dove si stanno facendo le cose con cura. Bisogna stare anche molto attenti a non fare cadere la fiducia se no l’effetto si avverte subito sui consumi. Se tutto questo non accade ci vuole un attimo a dire che è tornata l’Italietta di prima del governo Draghi con sette punti di debito Pil in più mentre Grecia, Spagna e Portogallo percorrono il cammino inverso. A quel punto avremmo un problema con i mercati e sarà solo nostro. Oggi il rischio Italia è perfettamente zero, ma bisogna avere la consapevolezza che il quadro fosco del 2024 va eliminato dal tavolo degli scenari con interventi drastici attuando un conservatorismo moderno fatto di serietà, investimenti e riforme di struttura. Questi interventi drastici vanno fatti ora, non domani.


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