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La zona della valanga

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Questo principio va accettato anche in questo Paese senza cercare colpevoli che non ci sono e senza illudere la pubblica opinione che ci deve sempre essere qualcuno che paghi. Non si può affrontare sempre tutto per via giudiziaria. La fatalità esiste e va contenuta con ragionevolezza, ma nessuno può abolirla. Non si può anche misurandosi con il problema vero del cambiamento climatico e facendo gli investimenti che si devono fare, ma si possono piuttosto creare le condizioni perché la pubblica opinione paghi i prezzi della ragionevolezza prima e non si perseveri dopo in errori che moltiplicano i costi umani e sociali della fatalità. Abbiamo espunto la fatalità dal nostro orizzonte per cui ogni fatto deve avere un colpevole che in questo caso è l’innalzamento delle temperature, mentre se c’è un’opinione pubblica matura puoi applicare principi di precauzione che pongono restrizioni del tipo “in questa fascia oraria non si possono fare escursioni”, ma una cultura dei diritti mai bilanciata da quella di un pur minimo dovere obbliga a fare i conti con le ambiguità di chi non vuole arrendersi al fatto che esiste la fatalità e attribuisce tutto al cambiamento climatico che nei secoli c’è sempre stato e comunque si cerca il colpevole in carne e ossa senza mai chiedersi dei propri comportamenti. Per cui finita l’emozione o addirittura nel pieno della tragedia stessa si indossa l’abito che va dismesso per cui tutto deve sempre finire nelle mani della magistratura partendo dal presupposto (sbagliato) che la fatalità non esiste e chiedendo soddisfazione. Accade anche in ambiti diversi sul profilo delle responsabilità. È il dramma dell’uomo moderno che determina altri dolorosi effetti collaterali per chi porta la croce di decidere in questo Paese.

La fatalità esiste e va contenuta con ragionevolezza, ma nessuno può abolirla. Questo principio va accettato anche in questo Paese senza cercare colpevoli che non ci sono e senza illudere la pubblica opinione che ci deve sempre essere qualcuno che paghi. Questo insegna la tragedia terribile della Marmolada con il suo carico di morti, feriti e dispersi. Non si può affrontare sempre tutto per via giudiziaria perché altrimenti si ripete lo stesso errore che fecero i Cinque Stelle quando si affacciarono dal balcone di Palazzo Chigi e dissero di avere abolito la povertà per decreto.

Non si abolisce la fatalità misurandosi giustamente con il problema vero del cambiamento climatico e facendo gli investimenti che si devono fare, ma si creano piuttosto le condizioni perché la pubblica opinione paghi i prezzi della ragionevolezza prima e non si perseveri dopo in errori che moltiplicano i costi umani e sociali della fatalità. Così come non si abolisce la povertà per decreto facendo trasferimenti di reddito, sacrosanti per chi non ha niente, ma creando le condizioni perché l’economia riparta e aumentino le opportunità di lavoro per tutti in modo sano e duraturo.

Abbiamo espunto la fatalità dal nostro orizzonte per cui ogni fatto deve avere un colpevole che in questo caso è l’innalzamento delle temperature, mentre se c’è un’opinione pubblica matura puoi applicare principi di precauzione che pongono restrizioni del tipo “in questa fascia oraria non si possono fare escursioni”, ma una cultura dei diritti mai bilanciata da quella di un pur minimo dovere obbliga a fare i conti con le ambiguità di chi non vuole arrendersi al fatto che esiste la fatalità e attribuisce tutto al cambiamento climatico che c’è sempre stato – nel Medio Evo in Inghilterra c’erano le viti e si facevano l’uva e il vino poi arrivò il freddo e non si fecero più uva e vino – e comunque si cerca il colpevole in carne e ossa senza mai chiedersi dei propri comportamenti. Finita l’emozione o addirittura nel pieno della tragedia stessa si indossa l’abito che va dismesso per cui tutto deve sempre finire nelle mani della magistratura partendo dal presupposto (sbagliato) che la fatalità non esiste e chiedendo soddisfazione.

Che cosa si doveva fare? Non si riesce a vietare niente che tutti danno di matto così come non si può fare il rigassificatore a Piombino nonostante le manovre economico-militari di Putin abbiano fatto volare il prezzo a oltre 160 euro a megawattore e l’Europa intera rischia la recessione. Accade la catastrofe e si dice “dovevano vietare le risalite in quella fascia oraria”. Non accade la catastrofe e si dice: visto, non è successo niente e hanno messo le restrizioni.

La verità è che non si può prevedere che non si vada incontro a disastri e la pubblica opinione deve attendersi dalla politica che faccia di tutto per evitare che i disastri accadano, ma la pubblica opinione stessa deve accettare un principio molto forte di precauzione che si fonda sulla decisione a priori che non si fanno più escursioni sulla Marmolada senza che succeda nulla in termini di protesta e contestazioni varie.

La libertà di scelta è un principio di precauzione che va accettato a prescindere da chi porta la croce di decidere e di risponderne, facendo i conti con il dramma dell’uomo moderno. Che è quello di non potere più accettare l’evento che sfugge al controllo e alla prevedibilità. Che è quello di indulgere sempre alla ricerca di un capro espiatorio per cui non contano le filiere di sicurezza e chi ne esercita le responsabilità, ma bisogna sempre trovare un capro espiatorio molto in alto che paghi simbolicamente per la tragedia, non perché ne è colpevole. Questo è il caso di Mauro Moretti nella strage di Viareggio e nel suo carico terribile di morte che indigna la coscienza del Paese, ma non può indurre ad accettare la regola della barbarie. A volte, addirittura, si pretende che il capro espiatorio paghi anche quando la tragedia non c’è perché è il frutto avvelenato del grande motore dell’invidia sociale e della deresponsabilizzazione collettiva.

La guerra di Putin all’Ucraina non è una fatalità, ma una scelta scellerata di un regime autocratico e di un suo disegno egemonico che viola la sovranità degli Stati liberi. È incompatibile con le regole delle democrazie e del mondo occidentale. Noi europei, in genere, e noi italiani in particolare, non abbiamo fatto nulla perché ciò accadesse. La guerra di Putin non è una fatalità ma noi non abbiamo fatto nulla perché accadesse. In questo senso noi siamo vittime di questa “terribile fatalità” e, per questa ragione, ci vuole il Recovery energetico europeo perché le vittime in economia di questa guerra orribile non possono pagare il prezzo di scelte di cui non hanno nessuna responsabilità.


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