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Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, in visita presso il Distretto della ceramica (foto d'archivio)

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È urgente uscire da questa psicologia di massa su cui specula stupidamente una parte della politica. È convinta che così guadagna voti mentre sta solo accelerando la sua crisi. Più dice che andrà male, più sarà una catastrofe, più la gente se la prende con loro. A marzo la produzione industriale prevista in caduta libera è rimasta invariata sul mese precedente e in crescita del 3% sull’anno scorso, ma addirittura il fatturato industriale dello stesso mese ha fatto il massimo dall’inizio della serie storica (gennaio 2000) con una crescita tendenziale del 21,4% e una dinamica congiunturale positiva del 2,4% dovuta per il 2,6% al mercato interno e per l’1,8% a quello estero. Turismo, servizi, costruzioni e consumi vanno bene. Siamo consapevoli che ci può essere un ritardo statistico nella rilevazione dell’effetto guerra. Siamo consapevoli che il contesto globale mette l’Italia e l’Europa dentro la morsa delle grandi crisi inflazionistica, energetica e, soprattutto, alimentare che arrecano danni enormi e possono avere conseguenze catastrofiche. Quello che ci preme sottolineare è che proprio per la complicazione in atto si farebbe bene sul piano interno a valorizzare gli elementi di fiducia reali per poterne moltiplicare gli effetti e a bandire le pratiche di una narrazione politica che è convinta di fare voti sulla psicologia di massa del terrore. Noi vogliamo dire solo questo e richiameremo sempre tutti fino alla nausea, governo compreso, a rendersi conto che il banco di prova del Paese è il Mezzogiorno e qui vincono o perdono tutti.

Il racconto del Paese che nessuno fa è che nonostante tutto quello che sta accadendo nel mondo la previsione di crescita dell’Italia è doppia rispetto a quella tedesca. Un confronto che racchiude una serie di valenze sottovalutate da molti perché la comparazione avviene con la Germania che è, allo stesso tempo, la prima economia europea e l’altra economia europea, oltre la nostra, più esposta alla dipendenza energetica da gas e petrolio dello Stato aggressore russo. Senza contare che noi, rispetto alla Germania, abbiamo meno alternative energetiche immediate e siamo esposti in maniera più marcata di loro anche alla dipendenza di materie prime agricole dallo Stato aggredito che è l’Ucraina.

Nessuno dice che nel mese di marzo di quest’anno la produzione industriale prevista in caduta libera del 2,5% rispetto al mese precedente è rimasta invariata con una crescita del 3% sull’anno, ma che addirittura il fatturato industriale dello stesso mese ha fatto il massimo dall’inizio della serie storica (gennaio 2000) con una crescita tendenziale del 21,4% rispetto all’anno scorso e una dinamica congiunturale positiva del 2,4% dovuta per il 2,6% al mercato interno e per l’1,8% a quello estero.

A ulteriore dimostrazione che il Paese produttivo vuole ostinatamente credere nella sua ripartenza e che il mercato dei consumi nonostante il balzo dell’inflazione (+6% in Italia contro il +7,5% della media dell’eurozona) tiene meglio che in altri Paesi europei perché appeso a un sentiment di fiducia in chi guida la nostra politica economica. Turismo, servizi e edilizia, essenzialmente privata perché legata alla stagione dei super bonus, vivono una fase d’oro mai vista dai tempi della pandemia e fortemente competitiva con le stagioni migliori pre-Covid. Anche nel rapporto debito-Pil si conferma la prospettiva di una discesa di altri 4,5 punti che sono ovviamente legati all’andamento ipotizzato della crescita e al contributo dovuto all’effetto dell’inflazione sul Pil nominale. Ovviamente muovendoci su livelli strutturali di debito, retaggio di trent’anni di errori storici, che delimitano la vulnerabilità strutturale del nostro Paese.

Siamo ben consapevoli, sia chiaro a tutti, che c’è un ritardo statistico nella rilevazione dell’effetto guerra. Siamo ancora più consapevoli che la discesa del rapporto debito/Pil è legato alla possibilità concreta di fare crescita e a quella di potere finanziare il debito a tassi contenuti. Siamo pienamente consapevoli che le politiche monetarie più restrittive rese obbligate dal mostro inflazione non aiutano questo tipo di processo che non ha reali alternative.
Siamo ben consapevoli che il contesto globale mette l’Italia e l’Europa dentro la morsa delle grandi crisi inflazionistica, energetica e, soprattutto, alimentare che arrecano danni enormi e possono avere conseguenze ancora più catastrofiche.

Quello che ci premeva sottolineare è che proprio per la complicazione in atto si farebbe bene sul piano interno a valorizzare gli elementi di fiducia reali per poterne moltiplicare gli effetti e a bandire del tutto le pratiche di una narrazione politica che è convinta di fare voti sulla psicologia di massa del terrore. Noi vogliamo dire solo questo e richiameremo sempre tutti fino alla nausea, governo compreso, a rendersi conto che il banco di prova del Paese è il Mezzogiorno e qui vincono o perdono tutti. Qui persistono le sofferenze maggiori, le disparità miopi di trattamento bancario, un più forte ritardo strutturale complessivo e un senso collettivo di spirito lamentoso. Che deve, viceversa, giorno dopo giorno, ricostruirsi come spirito nuovo e spingere al massimo per sfruttare le occasioni storiche offerte al Mezzogiorno dalla nuova globalizzazione e dall’affrancamento dalla dipendenza energetica russa.

La verità è che tutti aspettano per vedere se la situazione internazionale di crisi si blocca e tutti comunque devono fare i conti con l’ipotesi di una guerra molta lunga che nessuno può vincere e, proprio per questo, aumenta i rischi globali. Il primo dei quali è la carestia umanitaria con le popolazioni del nord Africa e dell’Africa subsahariana costrette alla fame per non parlare del continuo evocare un momento di follia da bomba atomica che miete di riflesso vittime nell’economia reale del mondo oltre che determinare panico nella coscienza delle persone.

Se l’economia italiana sorretta dal trascinamento del boom dell’anno scorso – figlio della migliore gestione europea della pandemia che ha dato fiducia e di una veloce riapertura delle attività – e più resiliente delle altre, non è sostenuta da una narrazione politica se non altro esplicativa del contesto perde la sua efficacia di breve e di medio termine. Perché finisce con il fare a pugni con le famiglie italiane che vanno al supermercato e si accorgono che nel carrello della spesa hanno molto meno cose di prima e hanno pagato molto di più. A queste famiglie che la produzione o il portafoglio ordini tengono non gliene frega un tubo.

Ecco perché, a nostro avviso, è urgente uscire da questa psicologia di massa su cui specula stupidamente una parte della politica. È convinta che così guadagna voti mentre sta solo accelerando la sua crisi. Più dice che andrà male, più sarà una catastrofe, più la gente se la prende con chi fa queste profezie. Come minimo il sentiment cambia e diventa: vado al mare, ma non so se ci potrò tornare, godiamoci l’ultima estate.

Siamo di fronte a una psicologia sbagliata e terrorizzante della politica di alcuni capi-partiti che al posto di valorizzare le cose buone italiane già dette e quelle internazionali, nessuno ad esempio parla più di embargo al gas russo, enfatizza sistematicamente l’angoscia. È convinta che l’angoscia gli porterà qualche voto in più mentre fa loro scalare le vette della classifica della dequalificazione e aumenta il numero di chi non solo non va più a votare ma non risponde nemmeno ai sondaggi. Tutto questo mentre Draghi riscuote un sostegno internazionale importantissimo e tutti scommettono su di lui. La politica a livello internazionale scommette su Draghi e l’Italia non può permettersi di deludere gli stakeholder dei governi e della finanza globali. Perché la scommessa su Draghi è la scommessa sull’Italia.


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