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Mario Draghi

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Le imprese italiane percepiscono prima e più degli altri la gravità di non avere più Draghi al timone della barca italiana con pieni poteri. Perché le imprese italiane più delle famiglie risentono degli effetti del cambio di governo e del voto anticipato in quanto ritengono che la guida di un Paese sia molto importante in uno scenario economico da tempesta perfetta. Sapere che il timone della barca è in mani esperte è un elemento di fiducia assoluto perché ti convince che tutto verrà gestito al meglio. Sapere che non ha più pieni poteri, ma quelli per il disbrigo degli affari correnti, alimenta incertezza. Questo vale per l’Europa, a maggior ragione per l’Italia. Crediamo che l’esito del voto porterà più di una sorpresa perché questo sentimento profondo sta entrando nelle viscere del Paese e non se ne potrà prescindere.

Il prodotto interno lordo del secondo trimestre del 2022 è cresciuto dell’1,1% invece che dell’1% sul trimestre precedente e la crescita acquisita per l’anno è del 3,5% invece che del 3,4%. I due motori della migliore crescita europea, che è quella italiana, sono stati la domanda interna e le esportazioni. La chiave che ha fatto girare a mille in controtendenza i due motori italiani, per capirci nello stesso periodo la Germania ha una crescita pari a zero e la Francia pari a meno della metà della nostra, è quella della fiducia legata alla credibilità internazionale riconquistata dall’Italia che ha rimosso molti dei nostri vincoli interni e la figura di Mario Draghi che la impersonifica come presidente del consiglio italiano e leader politico della Nuova Europa. Si vedono i frutti di un processo riformatore compiuto avviato in casa e di un meccanismo internazionale che agisce da moltiplicatore perché restituisce reputazione e affidabilità al nostro Paese.

Questo è lo spartiacque economico della politica italiana nei giorni delle grandi crisi e della guerra nel cuore dell’Europa dal quale chiunque sarà chiamato a governare questo Paese non potrà mai prescindere. Perché l’entità dei fenomeni messi in moto, la qualità conseguita di una crescita di oltre il 10% in due anni dopo un ventennio di zero virgola, il disegno di medio termine che ricolloca il Mezzogiorno al centro degli investimenti non dei sussidi, la percezione internazionale del cambiamento attuato in profondità, delineano il perimetro di una strada obbligata che dovrà essere ulteriormente percorsa ma con quello spirito realizzativo che ha contraddistinto il governo di unità nazionale guidato da Draghi e ovviamente con tutte le caratteristiche che la classe politica scelta dagli italiani per il governo del Paese vorrà imprimergli.

Ad agosto l’indice di fiducia delle imprese della commissione europea, si chiama economic sentiment indicator (Esi), segnala un deterioramento generalizzato legato al ricatto putiniano sul gas, agli shock inflazionistici, alle ombre recessive e all’attacco all’Europa della speculazione. Per la precisione la Germania scende a 97,2 da 99, 7, punti, per l’Unione europea siamo a 96,5, l’eurozona è al 97,6. La Francia si colloca a 99,8 punti, la Spagna a 97,9, l’Italia resta ai livelli più alti di tutti a quota 100,2 in termini assoluti ma scende un pochino dai 101,4 del mese precedente.

Vogliamo essere, su questo punto, molto chiari. Questo punto e qualcosa di discesa italiana che interrompe una lunga crescita trionfale mentre tutti arrancavano è dovuto all’incubo putiniano del gas che agisce a raggera sulle economie europee ma anche al fatto che le imprese italiane percepiscono prima e più degli altri la gravità di non avere più Draghi al timone della barca italiana con pieni poteri.

Perché le imprese italiane più delle famiglie risentono degli effetti del cambio di governo e del voto anticipato in quanto ritengono che la guida di un Paese sia molto importante in uno scenario economico da tempesta perfetta. Sapere che il timone della barca è in mani esperte è un elemento di fiducia assoluto perché ti convince che tutto verrà gestito al meglio. Sapere che non ha più pieni poteri, ma quelli per il disbrigo degli affari correnti, alimenta incertezza. Si immagina quasi naturalmente che nel quadro di prima tutto sarebbe stato gestito con ben altro cipiglio rispetto a chi non sa fare altro che dire di creare nuovo debito pubblico togliendo per sempre il futuro ai nostri giovani.

In realtà anche il terzo trimestre sarà segnato da una piccola crescita perché le tossine di resistenza nei servizi come nel turismo e nel commercio, ma anche nella stessa manifattura oggettivamente più sotto tiro, ci mettono sempre un po’ a sparire e, soprattutto, Draghi non ha allentato l’azione di governo anche se con i nuovi vincoli. Su tutto. La spinta sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, dove vuole anticipare entro ottobre il conseguimento del maggior numero di target possibile del semestre per aiutare chi verrà dopo. Nella definizione di un piano di razionamenti e nello sforzo di fare un decreto aiuti che intervenga pesantemente in modo mirato a sostegno dei settori energivori, delle pmi realmente esposte e del potere d’acquisto dei più fragili. Senza guastare bilancio pubblico e credibilità in una fase di turbolenze monetare con una speculazione in agguato che vuole fare soldi giocando contro la debolezza dell’intera Europa non distinguendo più nemmeno così tanto tra Germania e Italia.

Capirete, tuttavia, quanto sia grave il vulnus che il 20 luglio Cinque stelle, Lega e Forza Italia hanno determinato nel Paese lasciando cadere il governo Draghi di unità nazionale addirittura nascondendosi e rinfacciandosi le responsabilità. Quel vulnus incide sulla fiducia delle imprese italiane e, quindi, sui loro investimenti e sulla loro capacità di produrre reddito e lavoro. Soprattutto, indebolisce l’Europa perché rischia di privarla della sua leadership più autorevole per affrontare nell’unica sede possibile, che è quella europea, i temi vitali della separazione dei meccanismi di formazione dei prezzi di elettricità da fonti rinnovabili e di quelli per il gas e, ancora di più, sul price cap alle importazioni energetiche dalla Russia di Putin.

Sono due pallini fissi di Draghi che ha indicato questa doppia strada prima di ogni altro capo di governo europeo e che i fatti di queste settimane hanno rilanciato confermandone le capacità di inquadrare i problemi e di visione per individuare meccanismi realizzativi di soluzione dei problemi. Che è, a ben vedere, il punto più alto della sintesi politica quando non è più smistamento di interessi ma azione coordinata per rispondere ai bisogni delle persone e all’interesse generale della comunità. Se questo vale per l’Europa, a maggior ragione vale per l’Italia. Chi ha la responsabilità di guidare un’impresa e il ceto dirigente diffuso del sistema italiano, i suoi talenti giovanili, ma anche il mondo della scuola, del volontariato, della chiesa e della sanità, riflettono su quello che è accaduto al senato con manfrine politiche da basso impero per mero calcolo elettorale. Il calo dell’indice di fiducia del mondo produttivo segnala che la percezione della gravità di quello che è accaduto c’è, noi riteniamo che ci sia anche in strati molto più larghi della nostra società. Crediamo che l’esito del voto porterà più di una sorpresa perché questo sentimento profondo sta entrando nelle viscere del Paese e non se ne potrà prescindere.


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