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Giorgia Meloni e, sullo sfondo, Mario Draghi

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Solo pensare di fare correzioni al Pnrr in questa fase e di avviare lo studio di una nuova governance vuol dire molto semplicemente ricominciare daccapo e condannare il Paese a una caduta rovinosa. Perché al danno certo della perdita dei fondi europei che fino ad oggi sono stati incassati per oltre 40 miliardi rispettando le scadenze concordate si cumulerebbe quello della perdita di reputazione e dei maggiori costi per finanziare il proprio debito. La rotta imboccata dalla Meloni è quella giusta. Bisogna fare una squadra di governo all’altezza, avendo l’accortezza soprattutto all’Economia di fare scelte che rassicurino Bruxelles e Francoforte, e bisogna impegnare tutte le energie possibili e immaginabili perché la macchina rinnovata della pubblica amministrazione a livello ministeriale e territoriale con i poteri della nuova governance voluti da Draghi possa guadagnare ulteriore velocità nella capacità di attuazione degli investimenti.

State calmi, state buoni. Questo è il punto decisivo perché prendere la guida del governo forti di una netta investitura popolare in una stagione di pre-recessione globale, esige il massimo di responsabilità. Anche perché si dovrà governare con i fucili puntati dei mercati che non hanno ancora capito come sia stato possibile che i partiti abbiano fatto saltare anticipatamente il governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, che passerà alla storia come quello del miracolo economico italiano, oltre 10 punti di crescita in un anno mezzo e podio europeo, e della maggiore riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo dalla guerra a oggi. La Credit Opinion dell’agenzia americana Moody’s dedicata al debito sovrano italiano esprime in modo assolutamente inconsueto la preoccupazione degli investitori globali nei confronti del nuovo governo uscito dalle urne, che peraltro nessuno ha ancora neppure visto. Perché arriva ad avvisarlo preventivamente di retrocessione al livello dei titoli spazzatura se non completerà il processo riformatore e di investimenti avviato con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e finanziato con debito comune europeo.

State calmi, state buoni significa che solo pensare di fare correzioni al Pnrr in questa fase e di avviare lo studio di una nuova governance vuol dire molto semplicemente ricominciare daccapo e condannare il Paese a una caduta rovinosa. Perché al danno certo della perdita dei fondi europei che fino ad oggi sono stati incassati per oltre 40 miliardi rispettando le scadenze concordate con la precisione di un orologio svizzero si cumulerebbe quello della perdita di reputazione e dei maggiori costi per finanziare il proprio debito. Per questa strada lastricata di parole incendiarie non si blocca solo il processo riformatore compiuto intrapreso che può portare alla rinascita di lungo termine dell’Italia, ma si precipita in un girone infernale dove i nodi congiunturali molto pesanti che sono quelli energetici del caro bollette si intreccerebbero inevitabilmente con una finanza pubblica sotto pressione a causa del caro tassi.

La rotta imboccata dalla Meloni è quella giusta. Bisogna fare una squadra di governo all’altezza, è semplicemente oziosa la polemica tra ministri tecnici e ministri politici, avendo l’accortezza soprattutto all’Economia di fare scelte che rassicurino Bruxelles e Francoforte, e bisogna impegnare tutte le energie possibili e immaginabili perché la macchina rinnovata della pubblica amministrazione a livello ministeriale e territoriale con i poteri della nuova governance voluti da Draghi possa guadagnare ulteriore velocità nella capacità di attuazione degli investimenti.

Si potrà al momento debito aggiungere di certo qualche ulteriore progetto di innovazione che abbia un valore anche simbolico di modernizzazione e che trasferisca l’idea comune che siamo entrati nel nuovo secolo. Prima ancora, però, in assoluta continuità pubblicamente rivendicata bisogna attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza che c’è e si propone di riunificare le due Italie con l’alta velocità ferroviaria passeggeri e merci, con la rete della fibra ultra veloce, lo sviluppo della logistica energetica e dell’industria del mare che parta da Gioia Tauro e consegni all’Italia intera una quota sempre crescente di traffici commerciali e restituisca all’Europa la sua nuova, necessaria capitale.

Questa è la partita vera del Pnrr che è un tutt’uno con la piena attuazione delle riforme della burocrazia e della giustizia in un continuum che recuperi al Paese lo spirito operativo delle grandi democrazie che reggono, anzi si rinvigoriscono, con il cambio dei quadri politici di governo. Il sentiero tracciato valeva e vale per chiunque vincesse le elezioni, che non vuol dire affatto non accelerare, aggiustare, migliorare. Significa solo volontà e capacità di fare. Significa capacità di capitalizzare i risultati conseguiti da chi ci ha preceduto e questo, nel caso del governo Draghi in economia, come in termini di nuova Europa e di relazioni internazionali, è davvero un capitale importante che nessuno si può permettere di sprecare. Il mondo produttivo italiano vuole preservare la super crescita che ha avuto nell’ultimo anno e mezzo, non inseguire avventurismi istituzionali e pensionistici. Il Paese va tenuto insieme e preservato nelle sue nuove rotte di crescita.

Non si è ancora riflettuto abbastanza sul fatto che la Germania industriale è davvero messa male e vive una situazione pesante a causa dell’intreccio distorto della sua economia con la Russia di Putin e, forse, ancora di più dell’intreccio con la Cina di Xi Jinping che ha ricadute più globali e presenta quindi un conto ancora più pesante. Il maxi nuovo debito da 200 miliardi che è stato costretto a fare il cancelliere Scholz per sostenere le sue imprese ne è un segnale ampiamente rivelatore così come lo è il confronto impietoso per loro tra le performance del Made in Italy e della grande manifattura tedesca.

Anche da questi elementi di fatto si può facilmente percepire che la continuità più importante che il governo Meloni deve tutelare rispetto al governo Draghi che lo ha preceduto è proprio quella di perseguire un’Europa capace di dare una risposta comune alla crisi energetica che è di origine bellica, quindi estranea alle responsabilità dei singoli Paesi, e che per la dimensione dei problemi che pone impone una risposta corale sul piano dei meccanismi di formazione dei prezzi e di tetto per tutti i produttori e su quello di nuovo debito comune che esprima la necessaria solidarietà della nuova Europa.

Non esistono alternative vere a questa strada, ma solo scorciatoie che complicano invece che risolvere il problema. Sono settimane e mesi decisivi quelli che abbiamo davanti a noi. Oggi a Praga e poi al consiglio europeo di capi di stato e di governo del 20 ottobre abbiamo due passaggi cruciali. L’Italia ha un preciso interesse nazionale da difendere ad ogni costo che coincide perfettamente con l’interesse della nuova Europa. Si tratta di giocare e vincere una partita che mette addirittura in discussione il mercato comune europeo e, quindi, le fondamenta del progetto dei Fondatori vecchio e nuovo. Dividersi in casa dopo che capi di stato e di governo dei grandi Paesi europei avvertono il peso della mancanza della leadership politica europea di Draghi a partire dal rapporto forte con gli Stati Uniti è quella che classicamente si definisce un suicidio politico.

Non è nell’interesse di nessuno. Soprattutto di chi raccoglierà il testimone di Draghi e può legittimamente ambire a fare la storia. Per questo dico state calmi, state buoni. Questo è l’approccio giusto per andare avanti sul sentiero stretto che dobbiamo percorrere. È un’impresa complicata, molto complicata, ma non impossibile. Bisogna crederci e evitare errori tattici che possono pregiudicare molto e si fa fatica a recuperare.


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