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Se sbagliando perfino la Cina persegue la sua indipendenza economica è interesse della Germania e dell’intera Europa inserirsi nel nuovo asse strategico Sud-Nord e delocalizzare nel Mezzogiorno italiano le filiere delle catene produttive del valore. Il Fondo sovrano e la missione americana di Urso vanno nella direzione giusta. Dobbiamo mettere in staff il meglio delle nostre istituzioni di caratura internazionale per andare a vendere nel mondo il prodotto Sud. È giusto che la regia parta dal ministero delle imprese e del Made in Italy e utilizzi in modo organizzato le risorse più competenti della diplomazia, di Bankitalia, della finanza e del sistema Sace-Ice rivoltato da capo a piedi.

È finita per sempre la stagione del mercantilismo moderno tedesco. Un modello di crescita basato sul doppio asse privilegiato di rapporti con Russia e Cina è entrato strutturalmente in crisi. Perché non c’è più l’energia di Putin a buon mercato che aumentava la produttività della grande manifattura tedesca. Perché è pura illusione pensare di potere continuare ad avere la tecnologia dalla Cina a basso costo, fare su grandi scale il prodotto finito, e rivenderlo nel grande mercato cinese e nei grandi mercati mondiali.

È pura illusione perché le catene globali del valore cinese sono entrate in crisi e il rapporto con gli Stati Uniti resta complicato con il corollario non trascurabile che la contrazione dei volumi globali è un problema anche per un Paese esportatore come il nostro.

È pura illusione perché i cinesi si sono messi in testa di valorizzare al massimo il loro mercato interno che vale ben oltre un miliardo di persone per cui non solo vorranno produrre loro le auto elettriche e venderle in casa propria e in Europa a prezzi stracciati, ma addirittura si sono messi in testa di produrre loro il vino per il loro popolo e acquistano mucche dalla Svizzera per soddisfare in proprio i loro consumi interni. In un contesto globale così vulnerabile per la persistente crisi geopolitica di origine bellica e con i carri armati russi in Ucraina che hanno spezzato per sempre i fili dell’ex asse dominante Est-Ovest, emerge ogni giorno di più l’incertezza che riguarda il commercio mondiale e impone un ripensamento della stessa globalizzazione.

Ragionamenti tedeschi di una volta del tipo: la nostra potenza viene da fuori, teniamo virtuosamente basse le dinamiche di consumi interni preservando al massimo l’equilibrio di bilancio, sono ora semplicemente irrealistici sotto ogni punto di vista. L’Europa deve almeno ricordarsi che è oggi obbligatorio fare leva su una domanda interna di oltre 350 milioni di persone che esprime il più ricco mercato di consumi del mondo e custodisce le due più grandi potenze manifatturiere globali che sono quella tedesca e quella italiana (valgono rispettivamente il 21 e il 16% dei loro Pil nazionali) ancorché oggi la prima appare sorprendentemente più acciaccata della seconda.

Se sbagliando perfino la Cina persegue la sua indipendenza economica, è evidente a tutti che è oggi interesse assoluto della Germania e dell’intera Europa prendere atto in fretta che il nuovo asse strategico è diventato quello Sud-Nord e che la nuova delocalizzazione delle filiere delle catene produttive del valore nel loro assoluto interesse deve avvenire nel Mezzogiorno d’Italia.

Certo, la Germania potrà anche continuare a sussidiare i suoi redditi sfruttando gli infiniti spazi fiscali del suo bilancio mettendo peraltro definitivamente in crisi la costruzione del mercato unico di capitali e sottraendo l’Europa intera dal grande gioco dei player globali lasciando campo libero a Stati Uniti e Cina. Potrà farlo, certo, anche per più di qualche anno, ma ingigantirà il suo problema strutturale e aggraverà colpevolmente in modo pesante la situazione delle altre grandi economie europee.

Il coraggio politico che deve dimostrare oggi di avere la Germania di Scholz, e la debolezza della sua leadership ci preoccupa, ma anche la forza di andare contro stereotipi e luoghi comuni che deve avere la sua grande industria, sono entrambi assolutamente indispensabili per compiere l’unica scelta che può consentire loro di salvarsi e recuperare a pieno un ruolo di leadership che altrimenti sparirebbe inevitabilmente. Deve essere la Germania a capire prima di tutti che oggi è la volta del Mezzogiorno italiano e che la benzina del suo grande motore produttivo può venire solo da qui.

La Germania deve acquisire la consapevolezza che è finita la lunga stagione della delocalizzazione a basso costo in Cina e ovunque nelle aree emergenti e deve iniziare immediatamente una stagione nuova che delocalizzi il massimo possibile delle catene di valore delle filiere produttive strategiche nei territori obbligati del nuovo grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo che è il Mezzogiorno italiano. Che fa di Napoli la capitale del nuovo Mediterraneo e consente in una logica di sviluppo alla pari di provare a riunire i quattro Mediterranei ricongiungendo le due sponde del Mare nostrum e sottraendo soprattutto il Nord Africa alla egemonia delle armi russe e dei soldi cinesi. Si tratterebbe peraltro di intervenire nelle aree europee relativamente meno sviluppate e, quindi, con più domanda interna da soddisfare e nuovi margini di crescita effettiva da raggiungere.

Si tratterebbe di intervenire in aree che vantano già in partenza primati globali nella cybersicurezza, nella informatica gestionale, nell’ingegneria di specialità, nell’aerospazio, nel packaging, nell’automotive, nei nuovi materiali e anche in molti altri ambiti. All’interno peraltro di un contesto regolamentare europeo e di un livello di infrastrutturazione già infinitamente superiore a quello delle cosiddette aree emergenti, ma che può raggiungere con l’impiego finalmente efficace di tutti i fondi europei standard di eccellenza assoluta a livello mondiale anche in termini di contesto materiale e immateriale. Quello che dovremmo lanciare noi come Paese è un piano di attrazione di investimenti globali nel Sud rendendo chiaro a tutti che è l’unica cosa sensata che i grandi capitali europei e americani possono oggi fare.

Per questo va esplicitamente lodata l’azione del ministro Urso di costituire un Fondo sovrano che si attendeva da tempo e la sua missione americana alla caccia di investitori spiegando bene che cosa stiamo facendo in Italia e la collocazione strategica attrattiva dei nostri territori meridionali nel nuovo quadro globale. Possiamo diventare l’Eldorado delle filiere produttive del futuro. Dipende molto da noi e questo giornale suggerisce da tempo che bisogna affiancare all’azione del governo e del Fondo sovrano un livello tecnico di qualità assoluta che mette in staff il meglio delle nostre istituzioni di caratura internazionale per vendere nel mondo il prodotto Sud in modo continuato e efficace. Ogni giorno che passa aspettando che qualcuno lo faccia per noi e avviluppandoci nella solita guerra tra poveri in casa è un giorno pericolosamente buttato.

Per questo ha fatto bene Urso a rompere il dibattito del nulla e a passare all’azione. Il calendario non ci dà molto tempo per consolidare l’iniziativa e sarebbe bene che questa regia centrale del ministero delle imprese e del Made in Italy si avvalesse anche del meglio della diplomazia, di Bankitalia, della finanza e del sistema Sace-Ice rivoltato da capo a piedi. In questa missione strategica ci deve credere il Paese intero e la deve perseguire in modo organizzato utilizzando il meglio delle risorse umane disponibili.


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