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Il dibattito catastrofista ignora la Germania sempre più in crisi, mentre consumatori e imprese italiani traboccano di fiducia. Spendono alla grande i primi, fanno profitti le seconde. Rafforza la fiducia internazionale sull’Italia la scelta di assoluto valore di Panetta al posto di Visco per la guida della Banca d’Italia. Permette di reggere l’urto dei giochetti della Lagarde a favore delle banche tedesche che non bastano per attenuare la crisi strutturale della Germania e fermare la nuova locomotiva europea che è l’Italia. La nomina di Figliuolo a commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna in un quadro nazionale nuovo di poteri e interventi è altra benzina nel motore della fiducia.

L’indice di fiducia dei consumatori italiani a giugno vola passando da 105,1 a 108,6 punti. Viene segnalato quasi con fastidio nella nota tecnica dell’Istat qualcosa che appartiene ai nostri primati europei nascosti che invece di sparire si confermano di mese in mese. Sappiamo che il racconto mediatico catastrofista vuole altro, ma tant’è. Peraltro tutto ciò succede mentre gli Stati Uniti stanno per entrare in recessione, l’eurozona si avvia a imitarla un po’ dopo e già deflagra la crisi di struttura dell’economia tedesca che riguarda il modello industriale come il portafoglio e i consumi dei suoi cittadini. Tutto questo avviene dentro una crisi geopolitica globale che è passata da una fase di forte competizione a 360 gradi a quella di un conflitto tra mondo autarchico e mondo democratico di cui la guerra russa in Ucraina non è la causa ma la conseguenza.

Arriva molto dopo la lunga stagione autarchica di occupazione strisciante, manu militare-economica con le armi dei russi e i soldi dei cinesi, delle due economie del futuro che sono l’Africa e l’India. Azzardiamo che ci sarà poco spazio sui giornali italiani di oggi come è stato sull’informazione televisiva di ieri per dare conto alla pubblica opinione di un dato che misura come meglio non si potrebbe il tasso di dinamismo e di resilienza della nostra economia familiare che riesce a vedere rosa dove tutti vedono nero e a comportarsi di conseguenza. Sono in miglioramento netto tutte le serie componenti l’indice di fiducia eccetto i giudizi sull’oppor – tunità di risparmiare nella fase attuale, cosa quest’ultima che paradossalmente conferma la consapevolezza di vivere una stagione da boom economico in un mondo spaventato e declinante e, soprattutto, la volontà di contribuire perché questa felice stagione solo italiana duri a lungo. I quattro indicatori calcolati mensilmente, a partire dalle stesse componenti, riflettono le variazioni registrate dalle singole variabili e sono tutte di segno positivo: il clima economico e il clima futuro aumentano con tassi record passando rispettivamente da 119,8 a 127,6 e da 112,6 a 118,4. Il clima personale e quello corrente crescono in modo significativo nel quadro globale passando rispettivamente da 100,1 a 102,2 e da 100,0 a 102,0.

Crescono bene, dunque, anche questi due ultimi indici, ma bisogna correttamente dire che crescono benissimo se si confrontano con quello che avviene altrove e se ci si ricorda che esiste una questione salariale italiana che non è affatto trascurabile. L’indice composito del clima di fiducia delle imprese a giugno è stabile con una infinitesimale flessione passando da 108,6 a 108,3. Sorvolano i tecnici dell’Istat e gli analisti italiani che siamo di fronte a indici industriali di fiducia molto alti che abbiamo visto solo nella stagione del miracolo economico di Draghi e che non sono stati raggiunti neppure nel 2016 e nel 2017 che si sono segnalati per livelli abbastanza positivi.

Questi di oggi sono dati eccezionali rispetto anche a quella stagione. Riflettono il pieno di profitti che le imprese hanno fatto nella stagione post pandemica grazie a ciò che avevano investito loro prima sostenuti da una mano pubblica di governo che, a differenza degli eccessi di austerità del 2012, ha accompagnato la gestione della grande crisi globale con incentivi a innovare processi e prodotti e con sussidi pubblici per compensare parte delle perdite derivanti dalla chiusura dei mercati. Non so se si riesce a percepire fino in fondo la forza di un simile dato di fiducia delle industrie mentre le grandi economie europee, chi più chi meno, sono tutte o fortemente ripiegate su se stesse se non brutalmente spaventate (vedi Germania che scende da 91 a 88,5) o in lievissimo rialzo ma molto al di sotto dell’Italia come accade in Francia (si ferma a 101 contro il nostro 108,3). Quello che ogni giorno di più emerge è che il dibattito pubblico italiano continua irresponsabilmente a ignorare che, mentre la Germania è ormai in crisi strutturale da ben cinque anni, il sistema delle imprese italiane ha sopportato e superato prima di tutti la crisi del gas russo e gli effetti della guerra di Putin in Ucraina. Siamo usciti dalla doppia crisi globale pandemica e bellica con imprese molto più solide, molto più innovative. Questa situazione dell’industria di eccellenza assoluta dell’indice di fiducia di giugno sconta pure la fine della droga dei Superbonus edilizi dove c’è stata ovviamente anche una domanda suppletiva, oltre che per i profitti di costruzioni e servizi, anche in modo diretto per la componente manifatturiera collegata alle stesse costruzioni entrambe drogate. Nonostante questa duplice droga sia venuta meno il clima di fiducia delle imprese italiane resta elevatissimo. A fronte di tutto ciò le parole di ieri della Presidente della Bce Lagarde hanno fondamento sulla resistenza della pressione inflazionistica anche europea dove extraprofitti da sussidi e miopia delle imprese incidono negativamente non poco, ma sono del tutto fuori luogo ogni volta che anticipano decisioni di rincaro sui tassi perché anticipano anche effetti negativi che pagano per collocare i loro titoli pubblici i Paesi resi più fragili dalla pesantezza dei loro debiti pubblici. Ovviamente in questa classifica negativa l’Italia è sul podio più alto. Si ha la sensazione che dietro questi annunci con largo anticipo della Lagarde si stia giocando una partita molto tedesca di rialzo dei tassi per fare guadagnare le loro banche e assicurazioni che hanno pianto per anni lacrime amare a causa dei tassi che erano bassi. Il risultato è che l’economia produttiva europea che ha l’Italia come locomotiva viene spinta in recessione e quella tedesca – sfasciata e arretrata di suo perché non ha investito e basata su un modello in crisi dove energia e tecnologia risentono del cortocircuito russo-cinese – si avvantaggia dei profitti ingiustificati dei loro intermediari finanziari e assicurativi.

Questi profitti sono del tutto ingiustificati perché sostenuti da una politica di comunicazione della guida della Banca centrale europea (Bce) che crea danni supplementari alle imprese italiane. Le quali, come le altre imprese europee, debbono rispondere dell’inflazione da profitti sussidiati che loro stesse generano, ma non hanno alcuna colpa specifica per pagare un surplus di negatività che toglie forza alla nostra economia e a quelle europee più dinamiche avvicinandoci in modo miope al punto di caduta della recessione. In un contesto simile si fa fatica a fare cogliere quella forza endogena della nostra economia che di per sé crea fiducia e, quindi, valore, allungando la vita alla crescita italiana. D’altro canto c’è poco da farsi illusione se perfino il fatto che la Banca d’Italia, sempre prudentissima, ha elevato all’1,3% la previsione di crescita del 2023 per l’Italia, rendendola nota peraltro il giorno dopo il dato negativo della produzione industriale di aprile, non riesce a bucare il racconto irreale di un Paese allo sbando. Per fortuna, però, le cose vanno meglio del racconto e la scelta di un uomo di valore assoluto in casa e a livello internazionale come è quello di Fabio Panetta per la successione pesante di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia non può che confortare e consolidare la fiducia. Si continua a fare scelte di qualità che sono raccontate dalle cose fatte e dalla forza del curriculum, parlo di Panetta, che sono un presidio forte dell’indipendenza della Banca d’Italia e una garanzia per il consolidamento della sua forza sistemica in chiave europea e italiana. Che dire, poi, della scelta di Figliuolo come commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna? Siamo davanti a un servitore dello Stato di assoluta eccellenza che ha fatto benissimo in una situazione quasi impossibile come è stata quella dell’uscita dal Covid, ma soprattutto siamo davanti a una scelta che, in stretto coordinamento con i commissari regionali, recupera quel ruolo centrale di regia, indirizzo e esecuzione di cui abbiamo vitale bisogno.

Se queste scelte, come credo, aumenteranno il tasso di fiducia degli italiani nel loro futuro, non possiamo che esserne felici. Se poi si troverà il modo di farle passare sotto silenzio e negare l’evidenza quando si vedranno i risultati, sappiamo che fa parte delle regole del gioco catastrofista mediatico- politico di casa nostra. Sappiamo anche che saranno sempre meno gli italiani disposti a farsi abbindolare. Diciamo che questi sacerdoti del nulla e maestrini del “male sempre” hanno cominciato a stufare.


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